| questo capitolo è scioccante preparatevi psicologicamente
Capitolo 5
Bill aveva sempre provato una grande ammirazione per il professor Kaulitz. Sapeva svolgere benissimo il suo lavoro, era simpatico, molto alla mano, e sapeva soprattutto come trattare con i suoi studenti. Molto probabilmente era il tipo di professore che tutti avrebbero voluto avere. Ultimamente, però, Bill non era più così felice di parlargli. Non aveva niente di personale contro di lui, semplicemente lo infastidiva il fatto che il loro oggetto di conversazione fosse Tom. TomTomTomTomTom. Sempre Tom. Sempre e solo Tom. Non ne poteva più di sentire quel nome. E non era solo per il bacio in sé - quello ormai l’aveva superato, anche se ricordarlo gli faceva ancora un po’ schifo -, ma per quello che Tom aveva detto ad Andreas. Lui, a letto con quel teppista. Roba da pazzi, davvero! Comunque, le conversazioni con Jorg si erano fatte monotone. Lui gli chiedeva come andava con Tom e Bill rispondeva sempre che era tutto ok, che ci stava lavorando, mentre ormai nella sua testa se ne era già lavato le mani. Tom non voleva essere aiutato, e lui di certo non avrebbe rischiato il culo per fargli cambiare idea. L’unica cosa che lo risollevava un po’ era che comunque Andreas era con lui, più protettivo che mai. Lo teneva a distanza da Tom, passava tutto il suo tempo con lui… In più, era arrivata la notizia che a novembre avrebbero fatto una piccola gita, due giorni e una notte, anche se non ricordava dove. Non che gli importasse, l’importante era staccare la spina da tutta quella situazione ormai divenuta scomoda. Bill, il giorno della notizia, era piuttosto allegro. Non avrebbe avuto matematica e, magari per un giorno solo, sarebbe riuscito ad evitare l’argomento Tom. E Andreas era felice con lui, mentre parlava della gita scolastica. “Ovviamente staremo in stanza insieme” disse il biondo categorico. Bill annuì entusiasta e si sistemò meglio i capelli dietro l’orecchio, aspettando il suono della campanella. Era l’ultima ora di lezione e non vedeva l’ora di tornare a casa. “Ti va di venire da me stasera?” chiese Andreas rigirandosi tra le mani una matita. Bill si bloccò un attimo e poi annuì con gli occhi che brillavano. Era da un po’ che non andava a casa di Andreas, voleva tanto salutare i suoi genitori. “I miei non ci saranno” lo avvertì subito quello, come se gli avesse letto nel pensiero. Bill sobbalzò appena e sorrise debolmente. “…Ah, ok” non riuscì a rispondere altro. La sua mente aveva preso a vagare verso lidi lontani. …E poi era lui quello puro e casto. Scosse violentemente la testa arrossendo appena e sentì il suono della campanella farsi strada per i corridoi. Saltò in piedi immediatamente con un piccolo urletto felice e afferrò la borsa, afferrando la mano di Andreas e uscendo dalla classe. Ma si bloccò. Ci aveva sperato. Magari, anche solo per un giorno, il nome Tom non sarebbe stato pronunciato dalle sue labbra. Ma si era sbagliato. “Bill, posso parlarti?” Jorg Kaulitz era di fronte a lui, più pallido che mai. Sembrava stanco, e Bill si sorprese di fare lo stesso pensiero ogni qual volta che lo vedeva. “…Ok…” lasciò andare la mano di Andreas che lo fulminò con lo sguardo. “Ti aspetto” “…No, Andi, vai a casa. Ci vediamo da te alle sette, ok?” Il biondo rimase perplesso qualche secondo, poi annuì, sbuffando. “D’accordo”. Salutò con un cenno il professore e strinse per un attimo la mano di Bill, poi si allontanò per il corridoio. Jorg lo fissò andare via e sospirò, contrito. “Mi dispiace. Deve infastidirlo molto tutta questa situazione” Bill voltò di scatto la testa verso il professore, fissandolo con occhi leggermente sgranati. “…Come, scusi?” “So che state insieme, Bill” sorrise dolcemente l’uomo, passandosi una mano sulla fronte. “State bene”. Bill si sentì arrossire immediatamente e deglutì, cercando di riacquistare un minimo di calma. “Di… di cosa voleva parlarmi?” “Oh sì… Entriamo in classe, staremo più tranquilli”. Bill avrebbe preferito tornare a casa invece di dover affrontare un’altra conversazione su Tom, ma non disse nulla e seguì il prof all’interno dell’aula vuota. Chiuse la porta e aspettò che l’uomo parlasse, aspettandosi la solita domanda. E quella non tardò ad arrivare. “Va tutto bene con Tom?” Bill deglutì. Oh, ma certo. Escludendo il fatto che Tom gli aveva messo le mani addosso, l’aveva fatto lasciare con il suo ragazzo e gli stava praticamente rovinando l’esistenza… sì, tutto sommato andava bene. “…Ci sto lavorando. E’ difficile” rispose velocemente, cercando di apparire sincero. In un certo senso si sentiva rassegnato, gli dispiaceva però doverlo dire a Jorg. L’uomo sorrise appena, massaggiandosi le tempi con i polpastrelli delle dita. “Ti ringrazio, Bill…” sorrise di nuovo e Bill lo fissò interdetto per un attimo. “…Professore, tutto bene?” Jorg non fece in tempo ad annuire che rovinò a terra sotto gli occhi increduli di Bill. Rimase immobile per un attimo, fissando il corpo dell’uomo steso scompostamente sul pavimento. Non sapeva cosa fare. Sentiva il cuore in gola e le mani sudate, e la testa girava. Cosa doveva fare? Non lo sapeva, ma non riusciva a muoversi. Ma poi si svegliò all’improvviso e indietreggiò, uscì dalla stanza e corse in sala professori. “Il professor Kaulitz è svenuto!!” gridò al primo insegnante che si trovò di fronte. Quello lo fissò ad occhi sgranati. “Cosa?” “Il-il professore… è in classe, è svenuto!” Bill prese a balbettare, nel panico. Non gli era mai capitato nulla del genere, era tremendamente spaventato. “Ok, calmati” l’insegnante lo afferrò per le spalle e lo scosse leggermente. “Dov’è Jorg…?” “..Nella… Nella mia classe… La… La accompagno…” L’uomo annuì e Bill, seppur tremando, gli fece strada correndo fino alla sua classe. Alla vista del professore a terra, subito si avvicinò ed estrasse il cellulare per chiamare un’ambulanza, sentendo il battito sul polso di Jorg troppo debole. “Vai ad avvertire gli altri insegnati!” esclamò l’uomo, e Bill sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene al tono preoccupato che aveva usato. Non poteva stare male, no? Insomma, stavano parlando fino a qualche secondo prima, non poteva essersi sentito male così all’improvviso. Era pallido, sì, ma insomma… “VAI!” Bill sobbalzò e corse a per di fiato per il corridoio, facendo di nuovo irruzione nella sala professori. Era vuota. Si guardò intorno alla ricerca di qualcuno e notò l’ufficio del preside, ma non perse tempo a bussare. Spalancò la porta e l’uomo sobbalzò. “Che succede?” “Il professor Kaulitz si è sentito male!” esclamò Bill in preda al panico. Il preside sgranò gli occhi ed imprecò, alzandosi immediatamente. “Vai a casa, ragazzo, ci pensiamo noi a lui” disse, e poi scomparì per il corridoio. Bill rimase immobile, tremante. L’espressione del preside era preoccupata. C’era qualcosa che non sapeva…? Tremò ancora un volta. Doveva avvertire Tom.
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Non sapeva dove cercarlo. Non aveva il suo numero e non poteva chiamarlo. Si guardò intorno, per strada, alla ricerca di un’idea. Non sapeva cosa fare. Tom era uscito prima a quanto pareva, a scuola non c’era. Forse era con il suo gruppo a tracannare birra in un qualche locale malfamato, e lui di certo non conosceva nessun posto del genere. Prese a girare a vuoto, a guardarsi intorno alla ricerca di quei lunghissimi rasta che gli avevano fatto un po’ schifo la prima volta che li aveva visti, ma non riuscì ad adocchiarli. E poi, caso volle che passò correndo davanti la vetrina di un bar. E lì lo vide. Seduto al tavolo, birra in mano, che rideva sguaiatamente con gli amici seduti accanto a lui. Ringraziò mentalmente il signore ed entrò di corsa nel bar, avvicinandosi a passo svelto. Nessuno di loro si era accorto della sua presenza, eppure attirare l’attenzione di Tom senza farsi vedere dagli altri del gruppo sarebbe stato difficile. Ma ci provò lo stesso. “Tom”. Gli poggiò una mano sulla spalla e il biondo si voltò, poggiando violentemente la birra sul tavolo. Lo fissò astioso, sbuffando. “…Allora mi segui davvero” non era una domanda, ma un’affermazione. Bill scosse la testa, spalancando la bocca. Dio, quanto poteva essere idiota, quel ragazzo! “Chi è la tipa?” chiese all’improvviso uno dei ragazzi seduti al tavolo. Bill fece saettare lo sguardo verso di lui e lo fulminò, mentre Tom rispondeva. “E’ maschio”. Quello fissò Bill per un attimo, squadrandolo da capo a piedi. “…Oh, beh, è uguale”. Bill arrossì sentendo anche gli altri sguardi puntati su di lui e strinse la spalla di Tom. “Devo parlarti…” buttò lì, fingendo disinteresse. “Fottiti” si limitò a rispondere quello, muovendo violentemente la spalla per scrollarselo di dosso, e si voltò per riprendere a sorseggiare la sua birra. Bill, nonostante credesse di aver imparato la lezione, non riuscì a trattenersi. Portò una mano in avanti e lo colpì sul viso, facendogli rovesciare la birra. Tutti risero, e gli occhi di Tom si infuocarono. “Che cazzo…?!” Si alzò dalla sedia facendola strusciare rumorosamente a terra e ringhiò, sovrastando Bill. “Cerchi rogne, Trumper? Non ti è bastato quello dell’altra volta?” domandò con cattiveria. Bill si ritrovò ad indietreggiare e a fissarlo spaventato e anche un po’ scocciato. Dio, avrebbe voluto picchiarlo ancora… “…Vaffanculo” rispose duro. Tom scosse la testa sorridendo ironico. “…A quanto pare no” Bill tremò appena al ricordo delle labbra violente di Tom sulle sue, ma non si scompose. “…Basta, io me ne vado” si voltò per andarsene, ma Tom gli afferrò saldamente il polso e lo bloccò. “E lasciami!!” il moro si liberò dalla sua presa urlando, attirando l’attenzione di tutti. “…Tuo padre si è sentito male. Ora vedi che puoi fare” concluse, uscendo di fretta dal locale. Tom rimase immobile, il braccio ancora alzato.
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Dio, lo odiava. Lo odiava da morire! Era un cretino senza cervello, egoista, idiota, bastardo e strafottente. E i suoi amici erano cretini tanto quanto lui. Ringhiò contro la figura di Tom nella sua mente e decise di tornare a casa, ancora piuttosto preoccupato per la salute del professore. Si era spaventato troppo a vederlo cadere così, all’improvviso, e non aveva saputo fare niente per aiutarlo. Si era sentito impotente ed era una situazione bruttissima, non era riuscito a combatterla. Si sistemò meglio il giubbotto di pelle e si strinse nelle spalle, ma all’improvviso fu costretto a fermarsi. E si voltò, gli occhi sgranati che fissavano un Tom trafelato che gli stava correndo incontro. “Ehi” il biondo si fermò a pochi passi da lui, e Bill lo squadrò. Non poteva crederci. L’aveva seguito…? “Che vuoi?” chiese, ancora piuttosto arrabbiato. L’aveva seguito, certo, ma ciò non toglieva che Tom fosse un grandissimo coglione. “…Che è successo?” domandò Tom a bruciapelo. Bill rimase un attimo interdetto. Tom sembrava… preoccupato? “…Parlavamo. Parlavamo ed è svenuto all’improvviso” sospirò, passandosi una mano tra i capelli. “Non so, sembrava stanco” “Parlavate di me?” Bill annuì velocemente, scrutando l’espressione corrucciata di Tom. Il rasta sembrò scocciato dalla sua risposta e si morse il labbro inferiore. “E… come sta?” Bill si strinse nel giubbotto e alzò le spalle. “Non lo so, ma hanno chiamato l’ambulanza. Io sono venuto a cercare te. E, anche se questo non è il momento più opportuno, vorrei le tue scuse”. Tom alzò entrambe le sopracciglia. “Cosa?” Bill annuì convinto, appoggiandosi al muro. “Sai, Tom, non credo che tu sia stupido. Non completamente, perlomeno, altrimenti non mi avresti seguito. E’ solo che frequenti quel gruppo di deficienti che ti controlla e non vuoi separartene, perché non hai altri amici”. Tom aggrotto le sopracciglia, corrucciandosi. “…Non dire cazzate, che ne sai tu?” “Oh, lo so, fidati. Si vede” rispose Bill saccente, fissandolo. Tom trovò terribilmente irritante quello sguardo e gli si avvicinò, parandosi di fronte a lui. Bill non rimase intimorito. In quel momento si sentiva stranamente tranquillo, anche se piuttosto incazzato. “Che cazzo ne vuoi sapere tu? Tu hai la tua fottuta famiglia felice, non sei stato abbandonato e poi preso in casa da perfetti sconosciuti che ti hanno mentito per anni!” ringhiò, sentendo le mani prudere. La rabbia stava per prendere il sopravvento. Bill scosse la testa. “No, che cazzo ne sai tu, della mia vita. Anche io sono stato adottato” Tom sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di afferrare meglio il concetto. “E’ per questo che non ti capisco” continuò Bill. “Anche io sono stato adottato, sono nella tua stessa identica situazione. Ma non capisco perché tu abbia reagito in questo modo” Tom lo fissò, mordendosi il labbro, incapace di rispondere. Bill lo prese come un invito a continuare e parlò di nuovo. “Quei perfetti sconosciuti, come li chiami tu, ti hanno accolto in casa quando nessuno lo avrebbe fatto, si sono presi cura di te e ti hanno cresciuto con l’amore di un vero genitore. Non li meriti, Tom, sei solo uno stronzo. Non meriti dei genitori così. Tuo padre non merita quello che gli sta succedendo” “Non è colpa mia se si è sentito male!” gridò Tom in risposta, avanzando di un altro passo. Bill scosse la testa, ridendo ironico. “Ti sbagli, Tom. E’ colpa tua, e lo sai, e ti fa male”. Il moro si bloccò, pensando di aver parlato troppo. Si aspettava una reazione violenta da parte di Tom da un momento all’altro, tipo un pugno e un calcio - era capace di pestarlo lì per strada, per quanto ne sapeva -, ma il biondo si limitò a ringhiare sommessamente. Bill si rilassò appena e si staccò dalla parete, sorpassandolo. “Pensaci” disse solo, e si avviò verso casa.
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“Si è sentito male?” Bill allontanò la mano di Andreas dalla pancia. Era fredda e lo stava infastidendo leggermente. Eppure il tocco delle sue dita lo faceva fremere ogni volta. “Sì, mi sono spaventato… Chissà come sta” rispose il moro, mentre Andreas tornava a vagare con la mano sotto la sua t-shirt rossa. Gli accarezzò la pelle accanto al tatuaggio e sorrise, lasciandogli un dolce bacio sulle labbra. “Avrei dovuto aspettarti” sussurrò al suo orecchio. Bill scosse la testa e gli mormorò che non importava, tanto Jorg si sarebbe sentito male comunque. Andreas rise appena e spinse Bill più giù, facendogli poggiare la testa sul bracciolo del divano. “Ehi, che vuoi fare…?” chiese malizioso, accarezzandogli la schiena da sopra la felpa verde. Il biondo gli baciò il collo, succhiando un po’ la pelle in quel punto. “Nulla” rispose con voce roca, continuando ad accarezzargli la pancia da sotto la maglia. Bill rabbrividì per l’ennesima volta e sospirò quando sentì la lingua del biondo farsi strada verso il lobo dell’orecchio. Le labbra di Andreas si muovevano veloci sulla pelle di Bill e il moro fremeva ad ogni sospiro che si infrangeva contro di lui. Era bellissimo stare così tra le braccia di Andreas, schiacciato dal suo corpo. Non l’aveva mai fatto, era sempre stato un santo, lui. Un santo eccitato da morire. La propria erezione si era svegliata velocemente, scontrandosi con lo stomaco di Andreas che sembrava essersene accorto. E anche l’amichetto di Andreas, lì sotto, premette sul bacino di Bill che si era lasciato scivolare più in basso. Sentì una scossa percorrergli il corpo quando Andreas prese a strusciarsi lentamente su di lui, facendo scontrare i membri trattenuti dai jeans, e gemette sulle sue labbra mentre tornavano a baciarsi con passione e desiderio. La mano di Bill vagò verso il basso, accarezzando il fianco del biondo, e si avvicinò al bordo dei jeans, accarezzandoli. Si sentiva in imbarazzo, ma per una volta nella vita voleva provare a dare piacere a qualcun’altro… Avvicinò le dita ai bottoni e ne sbottonò uno lentamente, mentre Andreas continuava a baciarlo con passione e si allontanava appena con il bacino per permettergli di muoversi meglio. La mano di Bill si mosse all’interno dei jeans quando abbassò la cerniera ed esitò un po’, sentendo l’inguine di Andreas bollente sotto i boxer. Sfiorò la sua erezione con le nocche, e il biondo non potè fare a meno di spingersi verso il basso, facendo emettere a Bill un gridolino. “…Bill…” Andreas si staccò lentamente, sollevandosi dal corpo di Bill. Il moro lo fissò, le labbra gonfie e il volto arrossato dall’imbarazzo. “…Lo sai che ti amo, vero?” Bill sbatté le palpebre, interdetto. …Andreas gli aveva appena detto che lo amava…? Sentì le lacrime premergli ai lati degli occhi e allungò le braccia, passandole dietro il collo di Andreas, e lo attirò verso di sé. “Anche io… anche io…” ripeté sulle sue labbra, baciandolo profondamente. Il biondo sorrise e lo accarezzò sulla pancia, sollevandogli la maglia. Riuscì a sfilargliela velocemente, facendola passare dalla testa, e la fece scivolare a terra con un fruscio. Le mani del biondo vagarono su tutto il suo petto, così come la lingua, e Bill si sentiva agitato. Il cuore gli batteva velocemente, aveva paura. Era troppo presto. Stavano correndo troppo. Si maledì mentalmente; prima era stato lui ad avvicinarsi ad Andreas, a slacciargli i pantaloni… e poi lui gli aveva detto che lo amava. Non poteva tirarsi indietro ora. Una strana agitazione si impossessò di lui e si sentì la gola secca quando due dita di Andreas aggirarono i suoi fianchi e scesero in basso, verso il bordo posteriore dei jeans. “…No” sussurrò, posando le fredde mani sul petto del ragazzo. Andreas rimase spiazzato da quel rifiuto, ma si allontanò subito. “…Scusa, ma… vorrei farlo” Si mise a sedere, permettendo a Bill di sistemarsi, e il moro lo fissò riconoscente. “Scusami Andi…” una lacrima scese veloce sul volto di Bill, e il biondo sgranò gli occhi. “Ehi, ehi… non preoccuparti” lo attirò a sé e lo inglobò nel suo abbraccio, cercando di riscaldare il suo petto nudo. Bill tirò su con il naso, aggrappandosi a lui. “Io vorrei… ma… non mi sento pronto...” sussurrò, piagnucolando. “Tranquillo, avremo tempo… Non c’è nessuna fretta” rispose lui sorridendogli dolcemente. Bill si sentì uno schifo. Aveva un ragazzo che amava tantissimo e che lo amava a sua volta e non riusciva a fare qualche passo in avanti. Era solo un ragazzino. “…Ti dispiace se torno a casa…? Ho bisogno di riposare…” Andreas lo fissò e gli schioccò un tenero bacio sulla fronte. “…Certo. Vestiti, ti accompagno”
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“Ehi, Tom” Il rasta si voltò, pulendosi il mento bagnato da alcune goccioline di birra. Aveva bevuto davvero tanto quella sera, e solo per poter dimenticare quello che gli aveva detto Bill. L’aveva fatto incazzare da morire, e appena il moro se n’era andato si era sfogato contro il muro prendendolo a calci e pugni, e poi si era rinchiuso in quel fottuto bar con il gruppo. Non era tornato a casa per chiedere notizie di Jorg, e Franziska non si era preoccupata di fargli sapere nulla. “Vuoi?” Tom fissò la mano aperta del suo amico. C’erano un paio di pasticche bianche. Le fissò sospetto, guardandosi poi intorno. “Che roba è?” “Lo sai” rispose l’altro, ridendo. Era fatto, completamente fatto. “No grazie, alla vita ci tengo” si limitò a ringhiare Tom. Tornò a bere la sua birra e si portò la canna alle labbra, pensando che almeno quella non l’avrebbe ammazzato. Non si drogava lui, era contro queste cose, eppure non riusciva a fare a meno di fumare qualche canna ogni tanto. Erano le dieci di sera. Il locale in cui si erano richiusi, diverso da quello del pomeriggio, era affollatissimo. Ed era anche un postaccio, uno dei soliti postacci che si era ritrovato a frequentare quando aveva incontrato quel gruppo di… deficienti, come li chiamava Bill. Si staccò la canna dalle labbra e la buttò a terra, rendendosi conto di essere troppo ubriaco per pensare qualcosa di concreto. Finì la birra e sbatté il bicchiere sul tavolo. Non doveva dirgli quelle cose. Non doveva immischiarsi nei suoi affari. Non avrebbe dovuto parlare con lui, lo faceva sentire dannatamente confuso senza un motivo. Bill l’avrebbe pagata. “Tom!” Si voltò verso un altro del gruppo, che stava sorridendo. Era completamente fatto anche lui. “Cosa?” chiese noncurante, passandosi una mano sotto gli occhi. Si sentiva stanco e ubriaco, eppure non aveva voglia di fare baldoria. Dannato, fottuto Bill. “C’è il tuo amico di questa mattina. La femmina” Tom sobbalzò, seguendo con lo sguardo il punto indicatogli dall’amico. Bill era lì, per strada, che camminava con Andreas. Erano entrambi zitti e, anche se stessero parlando, non avrebbe saputo di cosa. Li stava osservando solo attraverso una finestra, ma poteva vedere l’espressione corrucciata sul volto di Bill. Sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla, e poi gli occhi di tutto il gruppo puntati addosso. “…Andiamo a divertirci”
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“Ci vediamo domani…” Bill annuì e si sporse in avanti, poggiando le labbra su quelle di Andreas. Il ragazzo lo baciò leggermente e poi sorrise, stringendogli la mano. “Entra in casa, fa freddo” Bill annuì ancora e il biondo lo lasciò andare, per poi allontanarsi. Il moro rimase immobile a fissarlo mentre si allontanava. Dio, gli voleva davvero troppo bene. Lo amava. Sospirò, ripensando a quello che era successo a casa sua. Gli era dispiaciuto doverlo fermare, ma davvero non se l’era sentita. Era ancora troppo presto… Si infilò una mano in tasca alla ricerca delle chiavi di casa e, quando sentì un tintinnio familiare, sorrise, sicuro di averle trovate. Ma non fece in tempo ad afferrarle che sentì dei passi dietro di lui e si voltò spaventato. Neanche se ne rese conto. Tre paia di mani lo afferrarono e qualcuno gli tappò la bocca, mentre iniziava a scalciare a destra e a manca per cercare di liberarsi. L’agitazione prese il sopravvento, purtroppo, e cercò di gridare, ma la mano di quel tipo che lo stava bloccando glielo impedì. Gli altri due presero a trascinarlo e sentì delle risate scomposte intorno a lui, e una lacrima scivolò veloce sulla guancia quando notò, nel buio, una faccia conosciuta. Mormorò il nome di Tom a labbra strette, sentendo il cuore farsi in mille pezzi. Che cazzo stava succedendo…? Tentò ancora di liberarsi, muovendo convulsamente braccia e gambe, cercando di colpire i ragazzi intorno a lui, ma riuscì solamente a farli ridere di più. Nonostante la scarsa illuminazione della strada, riuscì a intravedere un vicolo completamente oscuro, ed era lì che lo stavano portando. Sgranò gli occhi e scalciò furiosamente, mordendo la mano a quello che gli tappava la bocca. Quello ululò e si ritirò colpendolo alla testa con il braccio per farlo stare zitto, e Bill gemette quando si ritrovò a terra, faccia a faccia con il marciapiede freddo. L’avevano lasciato andare, ma solo perché erano arrivati proprio lì, dove nessuno avrebbe potuto vederli. Cercò di rialzarsi ma un piede poggiato sulla sua schiena glielo impedì. Sbatté violentemente con il petto a terra e mugolò, cercando di far leva sulle mani. Ormai piangeva, vedeva tutto sfocato e, in effetti, non faceva differenza. Era quasi tutto buio e lui riusciva solo a percepire le voci dei suoi aggressori. “Vai Tom, divertiti” esclamò un ragazzo dal vocione terrorizzante. Bill si sentì gelare sul posto e rimase steso a terra, il respiro accelerato. Sentì un paio di mani afferrarlo e si ritrovò in piedi, schiacciato contro la parete di fronte a lui. “L-Lasciami..!” gemette, mentre sentiva una mano aggirare la sua vita e posarsi sul cavallo dei pantaloni. Sobbalzò e spalancò la bocca, urlando più forte. “E stai zitto!” Tom lo afferrò per i capelli e gli premette il viso contro la parete fredda le vicolo. Bill senti il sapore metallico del sangue quando il suo labbro si scontrò contro il muro e gemette frustrato, rendendosi conto che non sarebbe riuscito a scappare. “Tom…” mormorò, cercando di liberarsi, “Lasciami, per favore… Lasciami andare…” Il biondo non rispose e gli slacciò i pantaloni, avvicinando la bocca alla sua guancia. Bill potè sentire l’odore di alcool e fumo sul suo viso, e strizzò gli occhi. Tom era ubriaco. Forse neanche si rendeva conto di quello che stava facendo. “Tom…” gemette di nuovo, sentendo i pantaloni che abbandonavano le sue gambe. “Per favore…” Rabbrividì quando l’aria fredda lo colpì sulle gambe, e boccheggiò quando sentì anche i boxer scivolare a terra. “No…” mosse un po’ le gambe quando le mani di Tom lo abbandonarono, e portò un piede all’indietro, dandogli un calcio sullo stinco. Tom gemette dal dolore e lo spinse di più contro la parete, respirandogli sul collo. Bill sentì il rumore metallico di una cinta che veniva sfibbiata e le risate tutte intorno. E poi successe. E neanche se ne accorse. Sentì solo un dolore lancinante e non potè fare a meno di gridare, mentre si sentiva come se qualcosa di enorme lo stesse aprendo in due. Ricominciò a piangere, stavolta dal dolore, mentre Tom si spingeva contro di lui e lo penetrava più a fondo, con spinte violente. Bill gemette assaggiando le sue stesse lacrime, e alla fine si ritrovò ad abbandonare il tentativo di liberarsi. Il dolore era troppo forte, lo accecava, e la sensazione di Tom che usciva ed entrava dal suo corpo violentemente gli fece tremare le gambe. Sarebbe caduto da un momento all’altro. Prese a tremare violentemente, mentre le risate circostanti gli riempivano le orecchie e sentiva i gemiti di Tom raggiungerlo. Poté solo strizzare gli occhi e sperare che tutto quello finisse presto. Si lasciò andare contro la parete, succube del corpo del suo aguzzino, e gemette quando Tom entrò un’ultima volta in lui con una poderosa spinta, e venne. Il rasta si tirò subito fuori e lo sporcò un po’ con il suo rilascio, allontanandosi. Bill non si rese più conto di nulla. Si lasciò cadere a terra, il respiro mozzato e il cuore che scoppiava. Non riusciva più a sentire nulla intorno a lui. Il battito del suo cuore era tutto ciò che riusciva a percepire e non riusciva a smettere di piangere. Aprì lentamente gli occhi e li vide, si stavano allontanando ridendo. Singhiozzò ancora, cercando di raccogliere i pezzi di se stesso sparsi a terra, ma si bloccò. Faceva male, cazzo, non riusciva ad alzarsi…
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“Gordon” Simone afferrò il telefono e si pulì le mani sul grembiule, porgendo l’apparecchio al marito. “E’ mezzanotte passata, Bill di solito rientra verso le dieci”, disse preoccupata. “E’ a casa di Andreas, cosa vuoi che gli succeda?” “Non lo so, ma chiamalo, io finisco di sistemare la cucina” L’uomo sospirò e afferrò l’apparecchio, componendo il numero del cellulare di Bill. Simone attraversò velocemente il salotto, borbottando che Bill avrebbe anche potuto avvertire, se pensava di rincasare così tardi. Entrò in cucina e Gordon l’avvertì che il cellulare di Bill era spento, e sentì una strana inquietudine impossessarsi di lei. Che fosse successo qualcosa…? All’improvviso, la serratura della porta d’ingresso scattò, e Simone sorrise rincuorata. Era Bill. Uscì dalla cucina e si diresse nel corridoio, pensando di fargli una bella ramanzina, ma dovette bloccarsi alla vista di suo figlio. “…Oh mio Dio.. Gordon!!” Uno strusciare violento di sedie e anche Gordon arrivò all’ingresso, sgranando gli occhi mentre fissava Bill. Simone corse subito da suo figlio, sorreggendolo, dato che stava barcollando, e l’uomo si avvicinò afferrandolo per le spalle. “Bill!” Il moro, lo sguardo puntato a terra, alzò lentamente la testa, altre lacrime che gli bagnavano il volto, e cadde tra le braccia di suo padre, privo di sensi.
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