Der Engel Von Hölle

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°[Ginny]°
view post Posted on 12/1/2010, 21:51     +1   -1




Innanzitutto, questa storia NON è mia,ma è di FAITH_KAULITZ ma è tra le mie preferite e quindi ci tenevo a postarla in questo forum....i commenti che lascerete poi gli passerò all autrice.....Grazie anche a die engel



Der Engel von Hölle





Capitolo 1


La prima volta che Bill lo vide, fu quando, percorrendo velocemente il cortile esterno della scuola per non arrivare tardi in classe, lo notò poggiato al muro accanto la porta d’entrata.
Non gli aveva fatto una buona impressione. Odiava il fumo. Odiava chi fumava. E quel ragazzo dai lunghi dread-lock biondi stava fumando.
Non potè fare a meno di storcere la bocca in una smorfia di disgusto quando gli passò accanto, rendendosi conto che quella che teneva pericolante tra le dita non era propriamente una semplice sigaretta.
Accelerò il passo e gli gettò un’altra occhiata veloce, aggrottando le sopracciglia alla vista degli abiti che indossava. Larghi. Troppo larghi.
Per lui, per lo meno, che portava solo pantaloni e magliette che aderissero al suo corpo come una seconda pelle.
Quel ragazzo aveva un cappellino nero da baseball che gli copriva gli occhi e buona parte del volto. La canna tra le dita, l’altra mano infilata svogliatamente nella tasca sinistra dei jeans oversize.
Si prese qualche altro secondo per studiarlo meglio, rallentando improvvisamente l’andatura, mentre l’occhio gli cadeva sulle braccia scoperte dalla maglia a mezze maniche, anche quella gigantesca.
C’erano piccole macchie rosse e violacee sparse sul dorso del braccio. Lividi, bruciature, non seppe definirli bene. Non che gli interessasse, comunque.
Distolse del tutto l’attenzione da quel ragazzo quando la campanella trillò minacciosa, quasi a ordinargli di filare immediatamente in classe. E lo fece. Si precipitò all’interno dell’edificio aprendo la spessa porta di vetro.
Si bloccò sul posto alla vista dell’uomo che aveva davanti.
“Buongiorno, Bill”
Bill esibì subito uno dei suoi sorrisi migliori. Uno di quelli sinceri.
“’Giorno professore”
L’uomo, sulla cinquantina, sorrise di rimando e gettò un’occhiata al cortile, sospirando. Sembrava stesse cercando qualcosa.
“Potresti avvertire la classe che arrivo subito? Devo prima fare una cosa”
“Certo” rispose giulivo il moro, e non potè fare a meno di notare la strana espressione che si era dipinta sul volto dell’insegnante.
Jorg Kaulitz, il professore di matematica più ben voluto di tutto l’istituto. Forse l’unico.
Si sapeva poco di lui, ma era un bravo docente e tanto bastava. Sapeva svolgere alla perfezione il suo lavoro e trattava gli studenti come degli amici, e non come tutti gli altri che invece li trattavano da semplici alunni. Riusciva sempre a coinvolgere la classe nelle sue lezioni, benché fossero interessanti o meno, e questa era una cosa che pochi potevano vantare.
Nell’ultimo periodo, comunque, Bill aveva notato una certa tristezza nei suoi occhi. Forse aveva dei problemi. O forse era solo stanco. Ma lo stimava troppo per avere la presunzione di chiedergli cosa non andasse.
“Grazie. Arrivo subito”.
Detto questo, Jorg uscì nel cortile e Bill salì immediatamente al piano di sopra, diretto verso la sua classe. Arrivò davanti alla porta socchiusa e la spalancò, salutando con un cenno del capo chiunque gli rivolgeva anche solo un’occhiata e annunciando alla classe che il professore sarebbe arrivato di lì a poco.
Posò la borsa a terra accanto al proprio banco e si abbandonò sulla sedia. E dopo un paio di secondi si sentì picchiettare sulla spalla.
“Già stanco?”
Andreas gli si piazzò davanti, poggiando i palmi delle mani sul banco del moro.
“Sonno. Mi sono svegliato tardi” biascicò Bill in risposta, sbadigliando.
“Immagino” rise Andreas, “Ho vinto la scommessa”
Bill sobbalzò, fissandolo storto. “Che scommessa?”
“Con Georg e Gustav” rise, scuotendo la testa, “Avevano scommesso che non ti saresti proprio svegliato. Non dopo ieri sera”.
“Fottiti” rispose Bill velocemente, mentre le guance si arrossavano appena.
Andreas sorrise dolcemente all’espressione imbarazzata dell’amico e Bill arrossì di più, trovando quel sorriso il più bello e perfetto del mondo intero.
Erano sempre stati amici lui e Andreas. L’avevano subito attratto quei capelli biondo platino e l’aria sbarazzina ma allo stesso tempo rassicurante e sicura che aveva. E anche Andreas, sempre esuberante, l’aveva trovato interessante.
Erano amici. Forse erano qualcosa di più.
E, dopo ciò che era successo la sera prima, Bill ci sperava davvero tanto.
Si rassicurò quando Andreas si gettò un’occhiata intorno velocemente e poi gli strinse la mano, nascondendola allo sguardo indiscreto degli altri compagni di classe. Bill si sentì avvampare molto più di prima, mentre l’altro continuava a sorridere a metà fra l’imbarazzato e il divertito.
Gli aveva sempre voluto bene, su quello non c’erano dubbi, ma non se ne era neanche reso conto, quando i suoi sentimenti si erano spinti oltre quella soglia.
Non sapeva se potesse considerarsi gay. Probabilmente lo era.
Ma né Gustav né Georg, né tantomeno Andreas, l’avevano allontanato per questo.
Proprio mentre si faceva forza per ricambiare la stretta di Andreas, il professore fece il suo ingresso in aula, ma non era solo. La classe si ammutolì all’improvviso.
“Buongiorno” salutò l’insegnante, poggiando la valigetta sulla cattedra.
Tutti si sedettero al proprio posto e Bill sentì un freddo improvviso invaderlo quando il biondo lasciò andare la sua mano e andò a sedersi al banco dietro di lui.
Alzò lo sguardo e notò il professore. E poi il ragazzo accanto a lui.
Spalancò la bocca e sgranò gli occhi. Era lui! Era quel ragazzo che aveva visto in cortile…!
“Ragazzi…” Jorg indicò con una mano il ragazzo. “Questo è mio figlio Tom”.
Dalla classe si levarono qualche mormorio e qualche “ciao” sommesso. L’uomo sorrise accondiscendente, poi continuò. “Ci farà compagnia per un po’ di tempo. Sarà il mio assistente”.
Tom sollevò con due dita la visiera del cappellino che lo copriva ancora dal naso in su. I suoi occhi vennero allo scoperto e li spostò per l’aula, gettando occhiate vuote a destra e a sinistra. Sembrava che non fosse interessato a tutto ciò che gli accadeva intorno.
Quando il suo sguardo si posò su Bill, quest’ultimo spostò meccanicamente una ciocca di capelli dal viso e la portò dietro l’orecchio. E la nuova espressione assunta da Tom lasciò ben poco alla sua immaginazione. Ci avrebbe scommesso un braccio: Tom l’aveva scambiato per una ragazza.
Non poteva essere biasimato, si ritrovò a pensare Bill. Non era da tutti i maschi portare capelli lunghi, lo smalto alle unghie con french annesso e truccarsi agli occhi con pesante matita nera e quantità industriale di mascara.
Forse solo lui lo faceva, ma gli piaceva perché in qualche modo riusciva a spiccare e a distinguersi. Ed era proprio per questo che Andreas l’aveva notato.
Jorg prese il registro e lo aprì, scorrendo con gli occhi la lista per fare l’appello. Era sua abitudine chiamare tutti gli alunni per nome, l’aveva sempre fatto. Era una confidenza che pochi avevano.
Fece velocemente l’appello, arrivando all’ultimo nome dell’elenco, alla lettera T.
“Bill”
I suoi occhi saettarono immediatamente verso il moro. L’aveva visto, ci aveva parlato e sapeva quindi che era presente, e infatti Bill sollevò la mano sorridendo appena.
“Eccomi”
Lo sguardo di Tom, ancora in piedi accanto alla lavagna, scattò verso di lui. Bill lo notò e non potè fare a meno di sorridere compiaciuto. Nonostante l’apparenza, il timbro maschile della voce era inequivocabile, così come il suo nome.
“Bene, cominciamo la lezione”


*



“Uno studente nuovo?” chiese Georg addentando il panino che suo madre gli aveva preparato per il pranzo. Odiava la mensa della scuola e si ostinava a portarsi il pranzo da casa, quando ne aveva l’occasione.
“No, è il figlio del professor Kaulitz”
“Jorg?”
Andreas annuì distrattamente, mentre sfogliava un giornalino pieno di trucchi per videogiochi di vario genere. Bill, seduto accanto a lui, sorseggiò la sua coca cola e si voltò verso Gustav.
“Dice che è il suo assistente”
“Ma se non ha fatto niente durante tutta la lezione!” sbottò Andreas dopo un paio di minuti scarsi, chiudendo con uno scatto il giornale.
Bill si era appena lanciato in una descrizione dettagliata della figura di Tom, e Andreas lo aveva interrotto.
“E’ stato seduto su quella fottuta sedia a guardare fuori dalla finestra per tutto il tempo!”
Bill sobbalzò, quasi spaventato dal tono usato dall’amico, e Gustav e Georg lo fissarono perplessi.
La mensa era gremita di gente e nessuno stava prestando attenzione a loro, ma il moro si sentì lo stesso in imbarazzo e si fece piccolo piccolo sulla sua sedia.
“Perché te la prendi…?”
“L’hai osservato per bene, eh?” domandò sprezzante il biondo alzandosi, e spostò rumorosamente la sedia all’indietro.
Afferrò il vassoio con entrambe le mani e se ne andò, poggiandolo malamente sull’apposito ripiano.
Bill rimase attonito a fissare la porta della sala, dietro la quale Andreas era appena sparito.
“…Ma che gli è preso…?” cercò rassicurazione negli occhi di Georg e Gustav, e quest’ultimo scosse la testa.
“Lo sai. Sembra che tu abbia fatto una radiografia a questo Tom”.
“Oh no!” Bill scosse la testa con veemenza, quasi frustandosi con i capelli che si agitavano di qua e di là. “E’ che l’ho visto anche stamattina, non gli ho fatto nessuna radiografia!”
Georg fece spallucce e Gustav si guardò intorno. “Allora dillo ad Andreas, deve esserci rimasto male”.
Bill sospirò abbattuto e raccolse sul vassoio tutti i pezzettini di carta sparsi per il tavolo - era sempre lui quello che riordinava il casino dei suoi amici - e si alzò, ringraziandoli.
“Ci vediamo all’uscita?”
“Certo” annuì Georg, “Mi sa che salto la prossima ora” continuò poi, rivolto a Gustav che gli lanciò un’occhiata contrariata.
“E perché dovresti farlo?”
Bill si allontanò, mentre la risposta di Georg lo faceva sorridere.
“Perché ho sonno”
Il moro poggiò sul ripiano il vassoio e uscì a passo spedito fuori dalla sala, guardandosi intorno. Non aveva la minima idea di dove potesse essere Andreas, ma voleva trovarlo ad ogni costo e spiegargli che aveva frainteso.
Ma poi, cosa ci fosse da fraintendere, ancora non l’aveva capito.
Si morse nervoso il labbro inferiore, facendo mente locale. Dove andava sempre a cacciarsi Andreas ogni qual volta voleva stare da solo…?
L’immagine del cortile posteriore della scuola gli attraversò la mente in un lampo e, velocemente, uscì alla luce del sole, cercando con lo sguardo il ragazzo.
Non lo vide e affrettò il passo, arrivando in pochi secondi al cortile posteriore, e lo vide.
Andreas era poggiato al muro, la sigaretta tra le labbra e gli occhi chiusi. Sembrava tranquillo, eppure Bill sapeva che non lo era.
Mosse un passo incerto, calpestando un rametto per farsi notare e Andreas sgranò subito gli occhi.
“Oh…” sussurrò, allontanando la sigaretta dalla bocca. Se la rigirò tra le dita e Bill gli si avvicinò, prendendogliela.
“Lo sai che non mi piace quando fumi” lo ammonì sussurrando, gettando il mozzicone a terra e schiacciandolo per bene con il piede.
Andreas sospirò e tornò ad appoggiarsi al muro, lo sguardo puntato in cielo. Sembrava non volerlo guardare negli occhi.
“Andi…”
Bill sospirò, chiudendo gli occhi. Pestò il piede a terra ancora per qualche secondo, cercando le parole giuste da dire.
Doveva scusarsi? Doveva chiedergli perché se l’è presa tanto…?
Riaprì gli occhi e trovò quelli di Andreas puntati contro di lui. Arrossì appena e abbassò lo sguardo, schiudendo le labbra.
“Andi, io…”
“Scusa” lo precedette il biondo, staccandosi dal muro. Si avvicinò e Bill sussultò quando la sua mano lo costrinse a rialzare la testa.
“…Perché te ne sei andato in quel modo?”
Andreas espirò, buttando fuori più aria possibile.
Perché mi dava fastidio” si limitò a rispondere sbuffando. Bill abbozzò un mezzo sorriso. Sarebbe stato ipocrita chiedergli perché gli desse fastidio, e anche chiedergli se fosse geloso. Di sicuro Andreas avrebbe negato e magari si sarebbe innervosito. E lui non voleva questo.
“Scusa…” sussurrò, fissandolo dritto negli occhi.
Qualcosa nel petto del biondo si sciolse e rilassò immediatamente le spalle, schiudendo le labbra.
Bill continuò a guardarlo, e in pochi secondi la mano dell’amico, poggiata sulla sua spalla, scese e gli strinse l’avambraccio, attirandolo a sé.
Bill non oppose resistenza e non protestò, lasciandosi trascinare contro il corpo di Andreas. Il biondo lo strinse tre le sue braccia e gli accarezzò la guancia con le labbra, baciandolo all’angolo della bocca.
Bill si voltò quel tanto che bastava per far allineare le loro labbra e sospirò, mentre socchiudeva la bocca per permettere ad Andreas di approfondire il bacio.
Andreas si abbandonò con la schiena contro la parete dell’edificio, portando con sé anche Bill.
Il moro non sapeva dove mettere le mani, e trovò una posizione estremamente comoda: avvolse le braccia intorno al collo del biondo mentre quello gli passava le mani sui fianchi e glieli accarezzava delicatamente.
Già, voleva proprio bene a Andi, e forse quello che provava era qualcosa di più.

…Sì, decisamente, era qualcosa di più.


*



Andreas aveva avuto perfettamente ragione.
Tutti avevano notato che Tom, anche in qualità di assistente, non muoveva nemmeno un dito per aiutare suo padre. Non che Jorg ne avesse bisogno, ma c’era di sicuro un motivo se aveva voluto suo figlio come aiutante, anche se non faceva nulla.
In più, era distratto, teneva gli occhi sempre puntati fuori dalla finestra e ogni tanto tirava fuori il cellulare sbuffando e controllava l’ora, per poi tornare a perdersi oltre il vetro.
Giorno dopo giorno, Jorg sembrava più stanco e affaticato, e il terribile pensiero che potesse essere malato attraversò non solo la mente di Bill. Ma questo dubbio scomparve subito quando un paio di settimane dopo, quando Bill fu chiamato dal professore che chiedeva di potergli parlare in privato.
Così il moro lo seguì nella sala professori e si relegarono in un angolo della stanza su due sedie. Bill aspettò di trovare anche Tom, ma a quanto pareva il ragazzo non sarebbe stato presente a quel loro piccolo colloquio.
“Allora, Bill…” il tono usato dall’uomo era stato tremendamente confidenziale e Bill si sentì leggermente a disagio. “Immagino che tu ti stia chiedendo perché sto portando Tom a lezione, nonostante non faccia nulla”.
Bill annuì lentamente. “Se lo stanno chiedendo tutti” commentò sincero, facendo spallucce.
Jorg sospirò, gettando un’occhiata al di fuori della finestra. Chissà dov’era andato Tom…
“Credo sia inutile girarci intorno” roteò gli occhi e poi li puntò in quelli di Bill. “Sto portando Tom con me per poterlo controllare”.
Alla parola ‘controllare’, Bill sporse leggermente il collo, incuriosito, e Jorg sorrise debolmente, sapendo di avere la sua completa attenzione.
“Tom ha la tua stessa età”
“Credevo fosse più grande…”
“No, ha diciassette anni. Il punto è che… ha lasciato la scuola”
Bill spalancò la bocca, ma il professore sollevò una mano, interrompendolo.
“Fammi parlare. Poi potrai chiedermi qualsiasi cosa”.
Bill annuì con la testa, le sopracciglia aggrottate in un’espressione concentrata.
“Tom ha lasciato la scuola qualche mese fa… Perché, beh, vedi, ha scoperto di essere stato adottato”
Bill sussultò a quelle parole. Avrebbe voluto parlare, ma sapeva che Jorg l’avrebbe interrotto di nuovo, quindi si limitò a fargli cenno con gli occhi di continuare.
“…E ha cominciato a frequentare cattive compagnie. Io e mia moglie Franziska abbiamo fatto tutto il possibile per… farci perdonare in un qualche modo, ma Tom si è allontanato sempre di più. Per questo mi chiedevo, Bill, e lo so che sarà difficile e devi sentirti libero di rifiutare. Non sono il tuo professore ora, sono solo un uomo che sta chiedendo il tuo aiuto”.
Bill sospirò. Non c’era differenza, per lui. Stimava il professore e lo avrebbe aiutato, ma avrebbe aiutato chiunque gli avesse chiesto un favore. Era fatto così, non riusciva a dire di no a nessuno, soprattutto nel momento del bisogno.
Forse era per quello che fino ad allora aveva ricevuto solo porte sbattute in faccia.
“Potresti stare un po’ con Tom e… aiutarlo?”
Bill sbatté più volte le palpebre. Perchè se l’era aspettato…?
“Io… sono stato adottato” sussurrò chinando il capo, imbarazzato. Sapeva che Jorg non era a conoscenza della cosa, ma aveva voluto farglielo sapere. Non che si vergognasse di dirlo in giro, era fiero dei suoi genitori adottivi, ma a volte era difficile parlarne.
“E’ per questo che te l’ho chiesto”
Bill sgranò impercettibilmente gli occhi, spalancando la bocca. “Lo sa?”
“Me l’hanno detto i tuoi genitori” rispose tranquillo lui, “Ma non prendertela con loro”.
Il ragazzo scosse leggermente la testa, accennando un sorriso tremulo “No, non si preoccupi”.
Non avrebbe mai potuto arrabbiarsi con i suoi genitori, non dopo tutto quello che avevano fatto per lui.
“Mi hanno detto che ti hanno adottato quando avevi appena un anno… e che lo sapevi…”
“Sì, me l’hanno detto un paio di anni fa. Ma… non ci sono rimasto male. Cioè, ovviamente mi ha fatto uno strano effetto sapere che la famiglia con cui ho sempre vissuto non è la mia vera famiglia, ma non mi sono arrabbiato” buttò lì, facendo spallucce. “Sono grato ai miei genitori per tutto quello che hanno fatto per me. Non ho mai provato desiderio di incontrare i miei genitori biologici e non ho intenzione di farlo. Però riesco a capire come può sentirsi Tom”.
Jorg annuì, continuando a scrutare Bill negli occhi. Lo sorprese, quanto potesse essere maturo quel ragazzo. Ma la frase che Bill pronunciò dopo qualche secondo, lo fece improvvisamente aggrottare le sopracciglia.
“E’ confuso, credo… Anche io all’inizio lo ero”
“Ma tu non hai mandato al diavolo la tua vita. Sei rimasto uguale a prima, o sbaglio?”
Il moro annuì velocemente. Non aveva mai pensato né di lasciare la scuola, né di fuggire di casa o altro. Aveva troppo lì. Troppi ricordi e l’affetto di due persone che erano state tanto buone e gentili da prenderlo con loro quando nessun altro l’aveva fatto. Non avrebbe potuto chiedere di più.
Si sorprese a pensare al fatto che Tom, così diverso da lui, avesse un passato molto simile al suo. E come avesse reagito in maniera diversa. E scosse la testa. Questione di carattere. Non avevano niente da spartire loro due, comunque.
“Quindi… vuole che io lo aiuti a…?”
“E’ una frase fatta, Bill, ma vorrei che lo riportassi sulla retta via. So che potresti farcela”.
Jorg poggiò una mano sulla spalla di Bill, stringendola appena. Lui sorrise accennando con la testa, e la presa dell’uomo si fece più forte. C’era gratitudine ora, nei suoi occhi.


*



Andreas si chiuse la porta alle spalle, mentre Bill si guardava intorno alla ricerca dei genitori del biondo. Lui scosse la testa quando gli rivolse un’occhiata interrogativa e si sentì un po’ a disagio quando gli disse che i suoi non c’erano.
Dovevano studiare, quel giorno. Bill era stato assente alla lezione di Inglese per poter parlare con il professor Kaulitz, quindi Andreas si era offerto di spiegargli l’argomento. Si parlava di Joyce, a quanto pareva, e Bill non sapeva neanche dove mettere le mani. Era negato in inglese, doveva ammetterlo. Le materie di disegno invece lo attiravano molto. Gli piaceva disegnare ed esprimere i suoi pensieri per ore su fogli di carta e riempirli fino a non trovare più neanche uno spazio vuoto.
Andreas, invece, era il suo opposto. Era intelligente - non che lui non lo fosse, ma era troppo pigro per sfruttare il suo ingegno - e ovviamente bravo in tutte le materie, soprattutto in quelle scientifiche.
Quindi, quando Andreas gli aveva chiesto con sorriso smagliante se aveva bisogno del suo aiuto, lui non aveva saputo rifiutare. Un po’ perché gli avrebbe fatto immensamente piacere passare dell’altro tempo con lui, un po’ perché lui, di Joyce, non sapeva neanche il nome.
Poggiò a terra la borsa carica di libri e si poggiò al muro, mentre il biondo gli si avvicinava con passo veloce e lo baciava appena, intrappolandolo contro la parete.
Bill schiuse le labbra permettendo alla lingua di Andreas di scivolare all’interno della bocca, e si ritrovò succube di quel corpo che premeva contro il suo, stringendolo in una maniera terribilmente affettuosa.
Nessuno, tranne i suoi genitori, l’aveva mai stretto così, e lui ne era felice, estremamente felice. Non aveva molti amici, ma quelli che aveva erano delle brave persone. Le persone più brave della terra.
E poi aveva Andreas e, ora, non lo aveva più solo come un semplice amico.
“Andi…” le mani di Bill passarono oltre la sua schiena, accarezzandogli la nuca. Passò le dita tra i capelli e lo allontanò un po’, parlando sulle sue labbra. “Ho… ho parlato con il professore”.
Bill non avrebbe voluto farlo davvero. Insomma, era palese che Andreas avrebbe perso le staffe, una volta venuto a conoscenza del “compito” che gli era stato affidato. Ma non poteva tenerglielo nascosto all’infinito, perché magari se avesse visto insieme lui e Tom si sarebbe sentito ancora peggio. E Bill non voleva leggere la delusione nei suoi occhi.
“Oh, sì” Andreas si allontanò, lasciandolo andare. “Cosa ti ha detto?”
Bill si torturò il labbro inferiore con i denti per qualche secondo, cercando le parole adatte per andare avanti. Pensò che girarci intorno non avrebbe risolto nulla, così si decise a parlare.
“Il professore mi ha chiesto di passare del tempo con Tom”.
Diversamente da quanto si aspettava, il biondo non disse nulla. Rimase immobile, un’ombra che gli oscurava gli occhi. Bill si sentì intimorito ma continuò a parlare, comunque grato che non lo avesse interrotto subito.
Ma quando gli raccontò tutto, Andreas scosse la testa.
“No”
“No?”
“No, lo faccio io” disse veloce, la fronte corrugata. Bill alzò un sopracciglio.
“No, l’ha chiesto a me! Devo farlo io!” si alterò, moderando comunque il tono della voce. Andreas si leccò spazientito il labbro inferiore.
“Non mi piace quel tipo, Bill. Non voglio che ti avvicini a lui”
“Ma…”
“Bill, se anche Jorg ci ha rinunciato, non vedo perché dovresti tentare tu! Ti sta mettendo in mezzo ai casini della sua famiglia con una scusa patetica! Diavolo, Bill, non te ne accorgi?!” sbraitò, agitando le mani. Bill si schiacciò di più contro il muro, intimorito. Andreas non aveva mai urlato contro di lui.
“L’ha chiesto a me perché io e Tom abbiamo una situazione simile!”
“Non mi importa! Non mi importa se siete stati adottati entrambi, non mi importa se avete lo stesso passato! Bill, tu non puoi passare del tempo con lui! E’ pericoloso!”
Bill si ammutolì all’istante.
Non ci aveva pensato, in effetti. E anche il suo professore gliel’aveva detto, che Tom aveva iniziato a frequentare cattive compagnie. Eppure non ci aveva dato peso più di tanto.
Fissò il pavimento, confuso, indeciso su cosa fare. Aveva dato la sua parola a Jorg e l’avrebbe mantenuta, ma anche Andreas aveva la sua parte di ragione.
“Senti, Bill… Non voglio nasconderti che sono preoccupato. Tom non mi piace, lo sai”
“Sì…” soffiò Bill, le spalle rilassate contro il muro. Forse non avrebbe dovuto accettare quel compito così a cuor leggero, ma qualcosa dentro di lui gli diceva che non poteva sottrarsi.
“Mi spiace, Andi, ma lo farò. Ti prometto che starò attento”.
Quelle parole risuonarono terribilmente strane anche alle sue orecchie. L’avrebbe fatto.
Ma… fatto cosa, per la precisione? Non sapeva neanche da dove iniziare, non sapeva come poter avvicinare Tom senza dirgli che suo padre gli aveva chiesto quel favore. In più, Tom non si era dimostrato propenso a legare con nessuno, a scuola.
Andreas sospirò, scuotendo ancora la testa. Non era convinto. Ovvio che la situazione non gli andasse a genio. E Bill era troppo ingenuo e buono per poter rifiutare un favore al suo professore.
Lo fissò, alzandogli con una mano il viso, e gli sorrise appena.
“…Ok… Ma promettimi che farai attenzione”
Bill annuì convinto. “Sì, lo sai che sono prudente”.
Andreas avrebbe voluto rispondere che, in certi casi, la prudenza non era mai troppa.
Ma Bill aveva già poggiato le labbra sulle sue, e lui non era tanto idiota da interromperlo.
Ma gliel’avrebbe detto, prima o poi.
 
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MiTcIv RuOy
view post Posted on 12/1/2010, 23:20     +1   -1




continua ti prego che è stupenda!
 
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°[Ginny]°
view post Posted on 13/1/2010, 10:41     +1   -1




Capitolo 2





Non era mai stato strano per Bill svegliarsi tardi la mattina.
E non era mai stato strano svegliarsi con un mal di testa assurdo, di quelli che, se potessi, ti staccheresti il cranio con violenza solo per non avere più dolore. Che poi era una stronzata, si sapeva che senza testa si soffriva di più.
Bill scosse la testa, i capelli arruffati e gli occhi annebbiati dai residui del sonno che non era ancora sparito del tutto.
Stava straparlando. O strapensando, nel suo caso, dato che non aveva espresso quei momenti di genialità a parole.
Si liberò dall’ammasso di coperte e gettò un’occhiata alla sveglia.
…Le nove.
Ci mise qualche minuto per rendersene conto, ma quando finalmente riuscì a capire la gravità della situazione, saltò in piedi, rimanendo impigliato con un piede alle coperte e cadde a terra, battendo la guancia. Per fortuna aveva fatto in tempo a voltare la testa.
La voglia di piangere prese il sopravvento, mentre mugolava di dolore e si massaggiava la parte sotto l’occhio. Di sicuro gli sarebbe venuto un enorme livido.
Riuscì ad alzarsi e gettò un’occhiata di puro panico alla sveglia.
Era tardi, cazzo, e non avrebbe fatto in tempo ad entrare alla seconda ora.
Uscì dalla stanza e corse al bagno, maledicendo i suoi genitori per non averlo svegliato. Simone e Gordon andavano via sempre prima di lui, e a volte, quando neanche la sveglia era sufficiente, non si facevano tante preoccupazioni a buttarlo giù dal letto.
Quella volta, invece, non l’avevano svegliato. Perché?
Uscì dal bagno dopo essersi lavato in tutta fretta e tornò in camera, afferrando dei vestiti presi a caso. Si infilò i pantaloni velocemente cercando allo stesso tempo di mettersi l’eyeliner intorno agli occhi.
Dannazione, aveva promesso al suo professore che sarebbe stato con Tom e già non si presentava a scuola come promesso!
Sbuffò mentre si ficcava la matita negli occhi e cacciò un grido, cercando di calmarsi. Fece un paio di profondi respiri, gettando a terra l’arnese malefico, e si allacciò i pantaloni, facendo passare la cintura negli appositi passanti.
Era inutile, sarebbe entrato a metà della seconda ora.
Se l’avrebbero fatto entrare.
Si guardò intorno alla ricerca della piastra, ma si rese conto che non era proprio l’occasione adatta, così optò per il cappellino. Avrebbe potuto indossarlo durante il tragitto fino a scuola e poi darsi una sistemata in bagno. Non che li ci fosse una piastra, ma avrebbe comunque avuto più tempo rispetto ad ora.
Cercò con gli occhi il cappello da baseball che indossava sempre, l’unico che gli piaceva veramente, quello blu scuro, ma non lo vide.
Sua madre doveva averlo lavato. Forse era nella cesta dei panni puliti al piano di sotto.
Uscì dalla stanza e scese al piano di sotto, facendo attenzione a non scivolare sui gradini che sembravano… bagnati.
…Perché diavolo le scale di casa erano bagnate alle nove del mattino, quando in teoria non avrebbe dovuto esserci nessuno?
Arrivò incolume al piano terra, sentendo un vociferare in cucina.
Oddio, i ladri…!
Non riuscì a fare a meno di pensarlo.
…E non riuscì a fare a meno di pensare, dopo qualche secondo, che le voci di quei ladri fossero familiari. Troppo familiari, per non riconoscerle.
Entrò in cucina, un’espressione ebete sul volto e uno sbadiglio che aveva preso il sopravvento.
“Bill? Che ci fai in piedi?”
Il moro spostò lo sguardo da Simone a Gordon, tranquillamente seduto a tavola a fare colazione.
“…No, cosa ci fate voi qui?”
“Oh, beh” rispose Simone con aria falsamente scocciata, “Se vuoi mandarci a lavorare anche di domenica mattina…”
Bill sgranò gli occhi.
“Domenica mattina?” boccheggiò, aggrappandosi affaticato allo stipite della porta. Gordon sbottò a ridere, poggiando sul tavolo la tazza di caffé.
“Perché, che giorno credevi che fosse…?”
Bill boccheggiò di nuovo, un’espressione tremendamente atterrita sul volto.
Era impossibile che lui si svegliasse alle nove di domenica mattina. E aveva persino sbagliato giorno.
“…Me ne torno a letto” disse solo, voltando le spalle ai suoi che ridacchiarono.
Si trascinò fino al piano di sopra e quasi si lanciò sul letto, la stanza ancora buia, e si riavvolse tra le coperte.
Dannazione, quando si svegliava non riusciva più a riprendere sonno. Non dopo aver visto il sole che splendeva fuori. Non poteva perdere tempo così, a dormire. Magari avrebbe potuto fare una visitina ad Andreas… oppure andare a fare un giro. Sì, un giro era proprio quello che ci voleva.
E così, dopo un’ora buona, Bill abbassò la maniglia della porta salutando i suoi genitori che, sorpresi di vederlo in piedi quando aveva detto che se ne sarebbe tornato a dormire, lo richiamarono.
“Esci?”
“Sì, vado a fare un giro”
Simone lo bloccò alzando una mano e si voltò verso il frigo, togliendo un foglietto che era appiccicato da una calamita sulla superficie bianca. Sembrava una…
“La lista della spesa” esalò Bill, afferrando il piccolo foglio. Simone annuì convinta e gettò un’occhiata a Gordon, che subito estrasse dalla tasca dei pantaloni il portafoglio.
Bill non si spiegava come mai suo padre lo avesse sempre con sé, anche quando era in giro per casa. Non gliel’aveva mai chiesto, in effetti.
L’uomo porse a Bill qualche banconota e il ragazzo se le ficcò in tasca insieme alla lista.
“Quelle tasche sono troppo strette, ti cadranno i soldi” lo ammonì lei, tornando a lavare la tazza che Gordon le porgeva.
Bill sbuffò.
“Se vedessi i pantaloni di Tom cambieresti idea” rispose velocemente, pensando che le tasche di Tom, invece, erano davvero troppo larghe. Non si sarebbe meravigliato di vedergli sparire dentro un braccio, un giorno o l’altro.
Simone non fece in tempo a chiedergli di cosa stesse parlando, che già Bill era fuori casa, diretto verso il supermercato.
Beh, in fondo era una passeggiata. Più o meno.


*



Si trovava nei pressi del supermercato. Bastava girare l’angolo e l’avrebbe visto lì, a pochi metri di distanza. E si morse il labbro pensando che avrebbe dovuto portare le buste a mano, e che ci avrebbe messo anche un bel po’.
Svoltò l’angolo ma subito si ritrovò a terra, sentendo una poderosa botta al petto che lo fece tremare. Le mani poggiate sul freddo marciapiede, il petto dolorante e le lacrime agli occhi, scorse una figura di fronte a lui, seduta, che imprecava.
“Ahia, cazzo!”
Bill si ritrovò a pensare, dopo aver inquadrato il ragazzo davanti a lui, che aveva un motivo in più per odiare Tom. Era anche sboccato, oltre che un patito delle canne.
Ma non fece in tempo a pensare altro che Tom si rialzò e si guardò intorno, una bottiglia stretta in mano. Bill si alzò barcollando e sentì una voce che urlava qualcosa. E vide gli occhi di Tom sbarrarsi.
Non ci pensò neanche, lo afferrò saldamente per il polso e lo trascinò via.
Corsero per qualche minuto finché Bill non sentì la voce dietro di loro affievolirsi, e lasciò il polso di Tom quando riuscirono a rintanarsi in un vicolo ben riparato.
Respirò affannosamente per qualche secondo, la mano poggiata contro la parete come unico sostegno per non cadere a terra - le gambe gli tremavano, quasi - e scorse Tom fissarlo dall’alto in basso, tranquillissimo.
Teneva in mano quella che sembrava una bottiglia di… Martini.
Che schifo, non gli era mai piaciuta quella roba.
“Cosa credevi di fare?” proruppe Tom, lasciandosi cadere a terra. Si poggiò con la schiena contro la parete e si portò la bottiglia alle labbra, strappando il rivestimento trasparente del tappo. Bill lo fissò perplesso.
“…Quel tizio ti stava inseguendo”
“Ovvio, gli ho fottuto questa” rispose Tom agitando la bottiglia verso di lui.
Bill sgranò gli occhi.
Bene, era anche un ladro!
Scosse la testa, mentre Tom tracannava il Martini con estrema tranquillità, ridacchiando di tanto in tanto. E quando il suo sguardo si spostò sull’espressione sconvolta di Bill, sbottò proprio a ridere.
“Cos’è, credevi avessi bisogno di aiuto? Sei idiota fino a questo punto?” domandò sprezzante, alzandosi da terra.
La bottiglia era già quasi completamente vuota e Bill si sorprese di quanto poco ci avesse messo a solcarsela. Quasi non se n’era accorto.
“Ma… io credevo…” sentì la gola bruciare e la vergogna impossessarsi di lui. Era stato un idiota. Non sapeva neanche perché l’aveva fatto.
Sospirò, scuotendo la testa. Era impossibile trattare con lui. Soprattutto dopo aver scoperto che Tom era il concentrato di tutte le cose che odiava di più. Non potevano essere più diversi.
Tom rise di nuovo, ingoiando altro Martini.
“Puoi anche andare, grazie” gli disse duro, smettendo poi di ridere. Bill rimase perplesso da quell’improvviso cambio di umore, e poi si poggiò contro il muro, scuotendo la testa.
Non gliel’avrebbe data vinta, non se ne sarebbe andato solo perché quel bambino viziato lo stava trattando con i pesci in faccia. E poi aveva fatto una promessa, e Bill Trumper le manteneva - quasi - sempre, le promesse che faceva.
“…No?” Tom inarcò un sopracciglio, stuzzicando con la lingua il piercing sul labbro inferiore. Bill lo fissò per qualche altro attimo, poi si premurò di mettere le cose in chiaro.
“No”.
Tom era evidentemente sorpreso: lo dimostrava l’espressione che aveva assunto, e Bill si sentì un po’ più sicuro di se stesso.
Ma solo finché Tom, con un colpo violento, scagliò la bottiglia contro il muro e la fracassò in mille pezzi, spargendoli a terra.
Bill sobbalzò e fece un piccolo salto all’indietro, spaventato. Lo sguardo di Tom sembrava di ghiaccio. Era troppo freddo. Bill rabbrividì.
“Te l’ha detto mio padre, vero?” sibilò, sputando insieme a quelle parole tutto il suo rancore. Era la prima volta che sentiva qualcuno parlare di Jorg con tanto disprezzo nella voce, e gli fece male. Jorg non meritava tutto quello.
“Vi ho visti parlare. Ti ha chiesto di controllarmi? Di diventare mio amico…?” pronunciò l’ultima parola assottigliando gli occhi come un serpente, e Bill si sentì ancora più intimorito.
Il moro non sapeva cosa rispondere. A quanto pareva il professore non aveva detto nulla a Tom ma lui li aveva visti lo stesso, e non sembrava propenso a instaurare un qualsiasi tipo di rapporto con lui.
Pensò ad Andreas, e a come si sarebbe arrabbiato se li avesse trovati lì in quel vicolo, completamente soli.
“Sì, è vero” rispose deglutendo. Mosse un passo in avanti, le braccia molli lungo i fianchi e il cuore che pulsava troppo velocemente. “Ma non lo faccio solo per questo”
“Fottiti” rispose Tom velocemente, infilando una mano nella tasca. Sembrò cercare qualcosa e Bill aspettò, ridacchiando dentro se stesso quando vide il braccio del rasta sparire nelle enormi tasche dei jeans.
Ma il sorriso si spense subito e la paura prese il sopravvento.
Tom si rigirò tra le dita il coltellino a serramanico appena estratto dalla tasca e sorrideva. E Bill si sentì sempre più nervoso, mentre il rasta faceva un passo verso di lui.
“Ti ho detto di andartene”
E Bill, stavolta, lo fece senza farselo ripetere due volte.


*



Sua madre e suo padre erano usciti, gli avevano lasciato un biglietto, e lui se n’era fregato, strappandolo dalla porta d’entrata e gettandolo a terra.
Si sentiva umiliato e triste e frustrato e preso per il culo. Tom l’aveva preso per il culo, e lui che aveva anche cercato di aiutarlo! Dio, era diventato un delinquente come lui, lo aveva aiutato a scappare dopo aver rubato quella bottiglia di Martini! Doveva costituirsi, doveva andare alla polizia, doveva…
Si sbatté la porta alle spalle, le mani tremanti e un groppo in gola talmente grande che quasi faceva fatica a respirare. Aveva recitato la parte dello spavaldo per un po’, cercando di non essere intimorito da Tom, ma non era facile. Per niente. Quel ragazzo era davvero pazzo, andava in giro con un coltello in tasca come se fosse una normalissima caramella da tirare fuori e mangiare in qualsiasi momento.
Gli aveva fatto veramente paura ed era scappato, anche se sarebbe dovuto restare. In fondo aveva fatto una promessa e l’avrebbe mantenuta, ma davvero non voleva rischiare la pelle. Si poggiò contro la porta d’entrata e chiuse gli occhi, il cuore che ancora batteva all’impazzata. Aveva fatto una corsa velocissima fino a casa e non si era fermato a riprendere fiato neanche un secondo. E non si era neanche voltato indietro per vedere se, per qualche strana ragione, Tom gli stesse correndo dietro. Ma perché avrebbe dovuto farlo, in fondo? Dopo che era stato lui a dirgli di andarsene, oltretutto.
Era troppo freddo quel ragazzo. Era troppo strano. Come poteva essere diventato così solo dopo aver scoperto di essere stato adottato? Eppure lui non era cambiato. Era rimasto lo stesso ragazzo di sempre.
Il pensiero che forse Tom non era mai stato un santo gli balenò alla mente. Ma il professore gli aveva detto che prima era un tipo piuttosto tranquillo…
Non sapeva cosa pensare.
E non voleva pensarci in quel momento, così si costrinse a trascinarsi in camera e ad abbandonarsi sul letto stancamente, le palpebre improvvisamente pesanti.
Si sarebbe riposato un po’ e poi avrebbe studiato. Almeno la mente sarebbe stata occupata.


*



“Tua madre era incazzata nera”
Bill sobbalzò, sistemandosi meglio la cornetta del telefono accanto all’orecchio. Poggiò la nuca contro il muro, chiudendo gli occhi.
“…Sì, lo so”
Andreas sbuffò divertito dall’altro capo del telefono, incuriosito.
“Che hai combinato, stavolta?”
Bill spalancò la bocca e deglutì, iniziando poi a tossicchiare, strozzandosi con la sua stessa saliva. Si portò una mano davanti alla bocca, tossendo convulsamente, mentre il biondo lo chiamava.
“Ehi, tutto ok?”
“Sì, sì” tossì di nuovo, calmandosi. “Niente, si è arrabbiata perché non ho fatto la spesa”.
Il sono stato trattenuto, però, decise saggiamente di tenerselo per sé. Non poteva certo andare a dirgli che era uscito, veramente intenzionato ad andare a fare la spesa, ma che poi aveva avuto quello che aveva iniziato a chiamare un incontro ravvicinato del terzo tipo. Eh sì, perché Tom era per forza un alieno. Non riusciva a capirlo e, di sicuro, c’era qualcosa di contorto nella sua testa. Qualcosa che voleva assolutamente cogliere, nonostante l’alto rischio dell’impresa.
Andreas si corrucciò, dall’altra parte, ma Bill non potè ovviamente vederlo.
Il biondo sapeva che Bill era sempre stato molto rispettoso verso i suoi genitori. Era bravo a scuola, faceva qualunque cosa loro dicessero… strano che avesse disobbedito.
“E perché no?”
Bill tremò appena. Sapeva che gliel’avrebbe chiesto. Il biondo sapeva essere inopportuno e impiccione e terribilmente geloso quasi da sembrare imbarazzante. Ma era proprio per queste qualità - conosciute ai più come difetti, ma l’amore è cieco, si sapeva, e Bill di certo non faceva eccezione - che gli piaceva.
“Perché… ho preferito rivedere quella roba di Joyce che mi hai spiegato. E’ un autore difficile” mentì, sperando di essere quantomeno convincente.
“Oh sì” sentì Andreas sospirare, rilassato. Esultò mentalmente. Gli aveva creduto.
“Senti, domani ti va di venire da me, dopo la scuola?”
Bill sorrise, improvvisamente raddolcito dal tono usato da Andreas. Si afferrò una ciocca di capelli, imbarazzato, e se l’attorcigliò intorno al dito, giocherellandoci.
“Certo, così mi spiegherai quello che non capirò domani mattina” ridacchiò, divertito della propria battuta. Sentì la risata cristallina del biondo riempirgli le orecchie e arrossì appena, sentendosi completamente idiota.
Arrossiva per così poco…?
…Eppure la voce di Andreas, e la sua risata matura… l’avevano sempre fatto impazzire. Erano estremamente sexy.
Avvampò completamente a quel pensiero che poco gli si confaceva, e tossicchiò di nuovo.
Era casto e puro, lui. Non doveva fare pensieri di quel genere.
Bill non aveva mai avuto una ragazza. O un ragazzo. Non aveva avuto nessuno, al di fuori dei pochi amici che lo circondavano ma che gli volevano comunque bene.
Il suo pensiero si spostò fino a Tom, e si rabbuiò per un attimo. Magari se anche lui non avesse avuto amici, ora si ritroverebbe come quel teppistello dai lunghi dread. Solo, ma allo stesso tempo in compagnia di persone che, come si suol dire, sarebbe meglio perdere che trovare, e con un odio sconfinato verso i propri genitori.
Rabbrividì, lasciando andare la ciocca di capelli, che cadde davanti agli occhi, e si strinse nelle spalle.
“…Ok?”
Bill sussultò. Andreas sembrava aver finito chissà quale discorso e lui non ne aveva sentito nemmeno una parola. Cercò velocemente una scusa plausibile ma non riuscì a trovarne una adatta, così optò per la verità.
“Scusa, mi sono distratto un attimo… potresti ripetere?” domandò titubante, sentendo Andreas trattenere il respiro. Il biondo sbuffò.
“Ti ho detto che, se proprio devo farti imparare qualcosa, vorrei insegnarti qualcosa di mio” disse, un leggero tono di malizia nella voce.
E Bill stavolta avvampò all’istante, le orecchie presero a bruciargli e la mente iniziò a galoppare veloce.
“PORCO!” gridò, staccando il telefono dall’orecchio e portandoselo alla bocca.
Il biondo sbottò a ridere, prima di ribattere con un “lo so” divertito e poi riattaccare.
Bill, ansimante quasi, fissò il telefono, congestionato in volto.
Andreas gli aveva appena confessato di voler dare una svolta al tutto.
Certo, perfetto.
Sentì montare il panico.
Stavano insieme da pochissimo, non potevano fare qualcosa! Non avrebbero dovuto spingersi troppo oltre, perché era strano, era imbarazzante, era troppo presto e lui non era pronto.
Premette il tasto rosso del cordless e lasciò andare il telefono sul materasso.
Saltò giù e uscì dalla stanza, mentre già si sfilava la maglietta.
Aveva bisogno di una doccia.
Gelata.


*



“Scusa, Bill…”
Quando Bill si ritrovò ad alzare la testa, la forchetta in bocca e una mano sollevata che la teneva salda, strizzò immediatamente gli occhi, mandando giù le patate tutte insieme.
Si ritrovò a pensare che era la seconda volta che rischiava di strozzarsi nell’arco di poco più di sedici ore, e si sentì colpire forte alla schiena dalla mano aperta di Andreas, che cercava di aiutarlo a respirare di nuovo.
“Professore…!” boccheggiò, poggiando la forchetta nel piatto molto rumorosamente. Spostò lo sguardo dall’uomo, che sorrideva conciliante, al ragazzo accanto a lui. E quando notò che Tom non stava fissando lui, ma a qualche centimetro di distanza, sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene.
…Non poteva fissare Andreas, no? Insomma, non avevano nulla da spartire loro due. E non voleva che Andreas provocasse Tom in un qualche modo. Era pericolo quel tipo, estremamente pericoloso.
Si alzò di scatto, sorridendo al professore, sistemandosi con le gambe a cavalcioni della panchina in modo da poter coprire completamente Andreas.
“Mi dica” sorrise, cercando di apparire normale. Notò che il collo di Tom si era allungato appena verso la sua sinistra, e poi fu costretto a tornare a guardare Jorg.
“Posso parlarti?”
Il moro annuì velocemente, liberando la gamba intrappolata tra la panca e il tavolo, il tutto sotto gli occhi di Andreas e Tom.
Georg e Gustav non c’erano, quel giorno, erano entrambi stati messi in punizione per aver saltato la lezione della settimana prima.
Alla fine, a quanto pareva, Georg si era addormentato nel magazzino degli attrezzi e Gustav a aveva passato tutta l’ora a cercarlo.
Bill vacillò appena, quando sentì la mano del biondo afferrare la sua.
“Professore, posso venire anche io?” chiese, alzandosi e affiancando Bill. Il moro arrossì, sentendo la presa salda dell’amico sulla sua mano, e il professore li fissò. Annuì e si voltò, preceduto da Tom e da Bill e Andreas.
Quest’ultimo, poi, lasciò andare la mano di Bill, che si sentì improvvisamente spaesato.
Arrivarono in un angolo un po’ più nascosto del cortile, e Tom estrasse dalla tasca un pacchetto di sigarette.
Beh, almeno sono sigarette, stavolta.
Bill sbuffò, fissandolo infastidito. Tutta la situazione cominciava ad infastidirlo, in realtà.
“Volevo scusarmi per quello che è successo ieri” disse Jorg all’improvviso.
Il cuore di Bill perse un battito, mentre Andreas si voltava verso di lui e lo squadrava.
“Perché, cos’è successo ieri?” chiese minaccioso, gettando un’occhiata a Tom.
“Tom mi ha detto quello che ti ha fatto” continuò Jorg, imperterrito.
Bill deglutì a fatica, sperando che potesse ammutolirsi da un momento all’altro, ma non fu così.
“Il proprietario del supermercato ha chiamato a casa nostra. Ci conosce, non è la prima volta che succede. E ha detto che Tom stavolta è scappato insieme a un ragazzo, e poi lui ci ha detto che eri tu. Mi dispiace”
Bill si ritrovò quasi a ridere. Tom evidentemente aveva glissato sul fatto che lo aveva minacciato con un coltello. Ma erano dettagli in fondo, no?
Sentì un ringhio provenire al suo fianco, e si voltò di scatto verso Andreas. Sembrava furente. Doveva aver capito che gli aveva mentito riguardo al “non aver fatto niente” del giorno prima e alla mancata spesa al supermercato.
“…Si figuri… Non c’è p-” tentò di rispondere, ma Jorg alzò una mano.
“No, voglio che anche Tom si scusi con te” si allontanò e afferrò il ragazzo per un braccio, ma lo mollò subito.
Uno studente, da lontano, lo stava chiamando.
“Professore, la vogliono in presidenza!”
Jorg sbuffò sonoramente, massaggiandosi le tempie con i polpastrelli delle dita. Sembrava stanco. Troppo stanco.
“…Torno subito, scusate” si allontanò a passo svelto, mentre Tom accendeva finalmente quella sigaretta che non aveva fatto altro che rigirarsi tra le mani.
“…Quindi non stavi studiando” esordì Andreas, allontanandosi per poter guardare Bill in volto.
“Andi, per favore…” cercò di allungare una mano, conciliante, ma il biondo lo scansò.
“Ti sei visto con lui?!” domandò, urlando quasi.
Il moro non rispose, tremendamente ferito. Come poteva Andreas sospettare una cosa del genere?
Si erano visti, era vero, ma era stato totalmente casuale e sbagliato, e anche terrorizzante.
Non rispose, puntò lo sguardo a terra e sentì le lacrime premergli ai lati degli occhi. Sapere che Andreas si fidava così poco di lui lo faceva star male e non riusciva a parlare.
Fu Tom, infatti, a rispondere per lui.
“Con questa checca? Ma non scherziamo” sorrise ironico, liberando un po’ di fumo dalla bocca.
Il biondo si voltò di scatto verso di lui, così come Bill, che lo fissò a bocca aperta.
“Però…” inspirò, mentre alzava gli occhi al cielo, “potrei anche farci un pensierino”.
Bill neanche se ne accorse. Vide solo la sigaretta di Tom cadere a terra, tra l’erba, e il suo corpo schiacciato contro il muro alle sue spalle, mentre Andreas gli afferrava il colletto della maglia e respirava furente sul suo volto. Bill tremò. Come diavolo faceva Tom ad essere così tranquillo? Sembrava che la cosa non lo riguardasse affatto.
Andreas era furioso, mentre teneva Tom appiccicato al muro con la sola forza delle braccia. Dio, gli prudevano le mani. Avrebbe voluto colpirlo, ma non fece in tempo.
Tom si staccò dal muro e si liberò dalla sua presa, sovrastandolo. Era alto qualche centimetro più di lui e lo fissò dall’alto verso il basso.
“Che vorresti fare, ragazzino…?” chiese sprezzante, mentre si fissavano negli occhi in cagnesco. Bill tremò impercettibilmente. Aveva paura.
Riusciva a percepire la paura di Andreas che, di fronte a lui, fissava Tom con odio. L’aveva odiato già dal primo momento in cui lo aveva visto, e sapere che il giorno prima lui e Bill si erano visti, anche solo accidentalmente, lo aveva fatto ingelosire.
Il moro, indeciso sul da farsi, mosse un passo in avanti e afferrò il braccio di Andreas, tirandolo indietro. Lo allontanò quel tanto che bastava per portarlo fuori pericolo, poi il biondo si liberò dalla sua presa e se ne andò, attraversando il cortile a passo svelto.
Bill rimase attonito a fissare la figura del ragazzo che si allontanava e sospirò, passandosi una mano sulla fronte.
Attese qualche secondo, giusto per permettere a Tom di porgergli quelle scuse che era venuto a fargli, ma il rasta lo smontò immediatamente.
“Non ti chiederò scusa”.
Cazzo, ma riusciva a leggerlo nel pensiero?
Sussultò a quelle parole, fissandolo duro. “Lo immaginavo”
“Sei tu che sei voluto restare nonostante ti avessi detto di andartene. Non ho niente di cui scusarmi”.
Bill si sentì terribilmente irritato e sbuffò sonoramente, mandandolo al diavolo. Poi si voltò e si allontanò, guardandosi intorno alla ricerca di Andreas. Doveva assolutamente parlargli.
Tom sorrise beffardo, gettando un’occhiata al culo di Bill mentre si allontanava.
…Sì, un pensierino avrebbe anche potuto farcelo, dopotutto.
 
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MiTcIv RuOy
view post Posted on 13/1/2010, 23:30     +1   -1




dopotutto?? daiiiiii plizeeeee ancuraaaaaaa
 
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°[Ginny]°
view post Posted on 14/1/2010, 17:29     +1   -1




Capitolo 3



Non faceva freddo quella sera.
Era settembre e faceva ancora abbastanza caldo, eppure era stata una sua scelta, quella di attribuire il tremore delle labbra al freddo.
Come se anche il volto inondato di lacrime fosse una cosa possibile da ignorare.
Credeva fosse impossibile che una storia durasse così poco. Si erano messi insieme neanche da tre settimana e già si erano lasciati.
Oddio, non che Andreas gliel’avesse detto esplicitamente, ma ignorarlo per cinque giorni di fila era stato un messaggio più che eloquente.
Si strinse nella giacca di pelle, asciugandosi con il polsino freddo l’ennesima lacrima. Era piuttosto buio, per fortuna, ed erano circa le dieci di sera. Era uscito con la scusa che andava appunto da Andreas, mentre invece aveva voglia di fare un giro da solo.
Ma stare con lui gli sarebbe piaciuto davvero tanto.
Singhiozzò, spostando con una mano la frangetta caduta davanti agli occhi.
Ma che importava, in fondo…?
Continuò a camminare portando le mani in tasca, calciando qualche sassolino incontrato per strada. Stava andando al parco. Ci andava sempre, quando si sentiva solo e triste e confuso e sconsolato.
Quando arrivò alzò lo sguardo. Era tutto deserto, e sorrise debolmente notando le altalene che si muovevano lentamente, spinte dal vento.
Si avvicinò e vi si abbandonò sopra, poggiando la testa alla catena di ferro, e rabbrividì. Avrebbe voluto Andreas a stringerlo, non per riscaldarlo, ma solo per poter stare almeno un po’ con lui.
Gli mancava, era innegabile. Non aveva litigato quasi mai quando erano semplici amici e forse quella svolta che aveva preso la loro relazione stava per rovinare tutto.
Lui aveva provato a parlargli. L’aveva seguito ogni santo giorno, cercandolo a ricreazione, tentando di parlargli durante le lezioni, ma Andreas semplicemente lo ignorava. Come se non esistesse. E un’altra lacrima scivolò via, pensando che non si era mai sentito tanto umiliato in vita sua.
Si dondolò un po’ con i piedi, stringendosi la giacca addosso.
Il parco isolato aveva un qualcosa di spettrale. Il silenzio che regnava era quasi innaturale, e si ritrovò a pensare che quel posto sarebbe stato più allegro e rumoroso, se ci fosse stato anche Andreas.
Scacciò immediatamente il suo volto sorridente da davanti gli occhi e li chiuse, inspirando profondamente.
Non avrebbe neanche potuto vederlo a scuola il giorno dopo, dato che la settimana scolastica si era appena conclusa. Avrebbe dovuto aspettare il lunedì successivo - che sarebbe stato dopodomani, ma l’attesa lo avrebbe distrutto - per fare un nuovo tentativo.
Si diede dell’idiota mentalmente, imponendosi di non pensare più ad Andreas per tutta la serata. Tanto non sarebbe servito a nulla.
Dopo qualche secondo, però, il suo pensiero fu costretto a spostarsi da qualche altra parte. Un distinto vociferare attirò la sua attenzione. Allungò il collo, curioso, per vedere di chi si trattasse e si ritrovò a trattenere il fiato quando lo vide.
Abbracciava una ragazza.
“…” si alzò dall’altalena lentamente, come un automa, gli occhi puntati in quelli di Andreas.
Lui lasciò subito andare la tipa al suo fianco e fissò attonito Bill, il cui labbro inferiore aveva preso a tremare visibilmente.
Non fece in tempo a fare o dire nulla che il moro si voltò di scatto, fuggendo il più lontano possibile.
“Bill!”
Ad Andreas non restò altro da fare che gridare il suo nome, che si perse nel soffiare del vento.

*

Non sapeva per quanto aveva corso.
Si rese solo conto di non riconoscere la strada in cui si trovava. Un vicolo cieco, per l’esattezza.
Aveva corso talmente tanto che si sentiva senza forze, e aveva versato un’infinità di lacrime, e gli faceva male la gola per il troppo singhiozzare.
Si sedette a terra, abbandonandosi contro la parete. Riuscì ad estrarre il cellulare dalla tasca e, attraverso le lacrime, scoprì che era mezzanotte passata.
Rannicchiò le gambe al petto, poggiando la fronte sulle ginocchia. Cercò di calmare il battito accelerato del suo cuore, ma l’immagine dispettosa di Andreas e quella ragazza continuava a comparirgli davanti, e si ritrovò quasi a ringhiare sommessamente.
Lui non meritava tutto quello. Aveva passato giorni a piangere e a scusarsi per una colpa che non aveva neanche commesso e come veniva ricompensato?
Era sicuro che anche Andreas stesse male, che gli mancasse, che si sentisse ferito. E invece no. L’aveva dimenticato in fretta, spassandosela con la prima troia incontrata per caso.
Ricacciò indietro l’ennesima lacrima e sospirò.
Era colpa di Tom. Era tutta colpa sua.
Non poteva comportarsi come tutti i normali teppisti? No, perché lui ammetteva quello che faceva, se ne fregava altamente! Ed era ovvio che Jorg volesse scusarsi con lui per il comportamento di suo figlio, anche se aveva scelto il momento meno opportuno per farlo.
Avrebbe voluto picchiarlo.
Non aveva mai alzato le mani su nessuno e sapeva che, se solo ci avesse provato, avrebbe avuto la peggio. Non era fatto per le risse, lui. Eppure la voglia di fargli del male, tanto male, era davvero molta.
Rimase rannicchiato lì per un tempo indefinito, sentendo di tanto in tanto, nel dormiveglia, qualche persona che passava per la strada accanto al vicolo in cui si era rintanato.
E poi sentì una voce conosciuta, seguita da altre risate rozze e imprecazioni.
“Ci vediamo domani” disse Tom, rivolgendosi probabilmente agli altri della sua banda. Jorg aveva detto a Bill che ne aveva una, e lui riusciva solo a sentirli, non li vedeva.
“Sono solo le quattro, vai già a casa…?” il pigolio di una ragazza gli giunse all’orecchio e Bill sobbalzò. Le quattro…? Diavolo, si era addormentato senza accorgersene! Doveva tornare a casa immediatamente, prima che i suoi genitori si accorgessero della sua assenza.
“Sono stanco, stamattina il vecchio mi ha portato a scuola” sbuffò Tom, incrociando le braccia. Mosse qualche passo e finalmente Bill riuscì a vederlo. Soliti vestiti oversize, solito cappellino in testa, solita canna tra le dita e solita aria strafottente.
Si appiattì di più contro la parete, nascondendosi dalla luce del lampione, e trattenne il respiro.
“Di nuovo quella cazzo di scuola?”
“Purtroppo” Tom fece spallucce, arreso.
“Ma perché non li molli? Odi i tuoi genitori, no?” esclamò uno dei suoi amici, fissandolo. Tom si portò la canna alle labbra e sorrise debolmente. “…Nah”
Una ragazza ridacchiò e Bill si ritrovò ad odiare la sua vocetta stridula con tutto il cuore, e rimase in silenzio a fissare Tom. Già, perché non se ne andava, se li odiava tanto…?
“Allora a domani” tagliò corto, gettando la canna a terra. La schiacciò con il piede e alzò una mano in direzione del gruppo. Tutti lo salutarono e poi lui estrasse il cellulare dalla tasca, controllando di nuovo l’ora. Mentre quelli si allontanavano, diretti verso uno dei soliti pub per divertirsi per il resto della notte, sbadigliò. Diavolo, stava morendo di sonno…
Mosse un passo, intenzionato a tornare a casa e sprofondare nel letto, ma il trillo di un cellulare lo bloccò sul posto. Non era il suo. Proveniva dal vicolo.
Bill si tuffò letteralmente sul telefono, premendo un tasto a cavolo per farlo smettere di suonare. Chi cazzo era che gli mandava messaggi alle quattro di notte?!
Imprecò mentalmente, pregando Dio che Tom non se ne fosse accorto, ma qualche secondo dopo se lo trovò davanti, completamente esterrefatto.
“…E tu che ci fai qui?” chiese, improvvisamente freddo.
Bill tremò appena, alzandosi da terra.
“Niente che ti riguardi”
“Mi seguivi?” chiese Tom a voce più alta, un lampo d’ira che gli attraversava gli occhi. Bill cercò di mantenere i nervi saldi, ma gli risultò estremamente difficile. Essere da solo con Tom, in un vicolo e in piena notte, non era proprio la cosa migliore del mondo.
“Oh, certo” sbottò, ripulendosi i jeans con noncuranza. “E’ diventato il mio passatempo spiarti. Soprattutto di notte”.
Tom sorrise sprezzante, cogliendo l’ironia.
“E allora cosa ci fai qui?”
Bill, ancora seminascosto nell’ombra, mosse un passo avanti, riscoprendo il suo volto che venne immediatamente illuminato dalla luce del lampione. “Niente che ti riguardi” ripeté.
Tom lo fissò perplesso, notando le scie spettrali del trucco colato sotto gli occhi che segnavano le guance.
“Hai pianto…?”
Non riuscì a impedirsi di chiederlo, e rimase stupito dal suo stesso interesse. Cosa gli importava, in fondo, se quella checca piangeva? L’aveva odiato fin dal primo giorno in cui l’aveva visto, fin dalla prima volta che l’aveva scambiato per una ragazza.
Aveva pensato che era davvero figa e che avrebbe voluto scoparsela.
E poi la verità gli era capitata tra capo e collo: era un ragazzo.
Ma non era colpa sua se quegli occhi da cerbiatto truccati di nero, quel nasino dalla curva sbarazzina e quelle labbra carnose lo avevano fatto eccitare.
Proprio no, non era colpa sua. La colpa era di Bill, o come cazzo si chiamava, che sembrava una ragazza.
“Non sono affari tuoi” si limitò a rispondere Bill, facendo tornare Tom bruscamente alla realtà.
“Infatti non mi interessa” scattò subito, quasi ringhiando.
“Allora perché me l’hai chiesto?” Bill alzò un sopracciglio, e Tom si sentì momentaneamente confuso.
“Cosa?”
Il moro sbuffò. “Perché ho pianto. Se non ti interessa non dovresti chiedermelo”
Tom sbuffò infastidito. Che cazzo ne sapeva lui, perché gliel’aveva chiesto?
“…Vai al diavolo” gli voltò le spalle, allontanandosi a passo svelto, e in un attimo Bill lo affiancò.
Tom sentì le mani prudergli all’inverosimile, mentre Bill chiedeva spiegazioni insistentemente.
Accelerò il passo cercando di seminarlo, ma quello non demordeva.
“Senti!” sbottò Tom all’improvviso, bloccandosi nel bel mezzo del marciapiede. Dio, avrebbe voluto sbatterlo contro il muro e dargli tante di quelle botte fino a farlo svenire. Lo infastidiva la sua presenza. E cazzo, fino a qualche minuto prima piangeva e ora saltellava intorno a lui rompendogli l’anima. Ma non aveva altro da fare? “Perché non te ne torni a casa?!”
“Perché no” rispose Bill ovvio, con un’alzata di spalle. Tom lo fissò perplesso. Possibile che non avesse paura di lui? Eppure l’ultima volta che si erano incontrati da soli, era scappato a gambe levate alla vista del suo coltello. Era davvero strano quel tipo.
Sospirò, passandosi una mano sulla fronte.
“Perché non te ne torni dal tuo amico, invece di rompere le palle a me?!” sbraitò rivolto verso Bill. Si aspettò di vederlo sorridere di nuovo e dargli una risposta cretina come quella di prima, ed era sicuro che se l’avesse fatto l’avrebbe colpito talmente forte da mandarlo all’ospedale per direttissima, ma lo vide solo accigliarsi. E poi chinare la testa.
Rimase immobile a fissarlo, mentre Bill… beh, Bill sembrava improvvisamente tornato giù di morale. Non che a lui importasse, ma un po’ lo stupivano e lo spaventavano gli sbalzi d’umore di quel ragazzo.
Lo fissò per qualche altro secondo, poi Bill alzò la testa. “Non parlare di Andreas” sibilò, avvicinandosi di un passo. La voglia di picchiarlo era tornata in superficie. Era lunatico, si ritrovò a pensare. Era estremamente lunatico e stava per cacciarsi in un mare di guai, ma non poteva fare altro.
“Avete litigato?” chiese Tom ridendo divertito. Bill assottigliò gli occhi, terribilmente irritato.
E poi, senza che neanche se ne rendesse conto, la sua mano scattò sul viso di Tom e lo colpì forte sulla guancia, facendogli piegare la testa di lato.
La ritirò quasi subito, quando Tom tornò a guardarlo e lo afferrò per le spalle, sbattendolo contro il muro.
Cazzo, nessuno si era mai permesso di fare una cosa del genere a lui. Per lo meno, chi lo aveva fatto si era ritrovato un paio di costole rotte. Per niente piacevole, a dirla tutta.
Schiacciò Bill contro il muro con il suo corpo, mentre quello cercava di liberarsi dalla sua presa. Iniziava ad avere paura, e si maledì perché osava sempre troppo, perché era un cretino e dava troppo ascolto ai sentimenti. In quel momento l’idea di volerlo picchiare aveva preso il sopravvento e l’aveva fatto senza problemi. Beh, i problemi erano arrivati ora.
Gemette quando Tom gli afferrò il polso e lo torse tra le dita, ma non ebbe il coraggio di dirgli di lasciarlo andare. La situazione era già abbastanza contorta così, senza che si mettesse anche a fare il duro. Perché non lo era affatto e stava provando una fottuta paura che lo stava divorando dentro.
Gemette di nuovo, stavolta aprendo la bocca e socchiudendo gli occhi. Tom aveva serrato la stretta intorno al polso e gli aveva avvicinato le labbra all’orecchio.
“Mi stai provocando…” sussurrò sprezzante, come se lo stesse accusando di qualcosa.
E Bill, in effetti, si rese conto che sì, lo aveva provocato fino a quel momento. Ma non era colpa sua, non se ne rendeva neanche conto finché non si ritrovava spiaccicato contro il freddo muro di una strada che non conosceva, come in quel caso.
Tom si premette di più contro di lui, passando il piercing sul labbro sul lobo dell’orecchio di Bill, che rabbrividì. In quel momento cominciò a sentire davvero freddo. E cazzo, però, pure lui andava a cercarseli i guai. Non poteva tornarsene a casa dopo aver visto Andreas, invece di andars0ene in giro a vagabondare? E non poteva lasciare in pace Tom quando ne aveva l’occasione?
No, lui doveva fare il rompipalle. Gustav e Georg glielo dicevano sempre, era adorabile, per carità, ma anche un gran rompipalle che causava tanti danni quanto il trucco che si metteva in faccia, e quindi una quantità ragionevolmente infinita.
Sospirò quando sentì qualcosa stuzzicargli il piercing sul sopracciglio destro. E scoprì che la bocca di Tom si era spostata proprio lì.
“…Non scherzavo quando dicevo al tuo amico che avrei potuto farci un pensierino. Stai attento, Bill” sussurrò, facendolo rabbrividire. Bill era sicuro che, se Tom non lo stesse tenendo così saldamente, sarebbe scivolato a terra da un momento all’altro e poi sarebbe scoppiato in singhiozzi. Non solo il polso gli faceva un male cane, ma Tom continuava a parlare di Andreas, e questo lo faceva stare ancora peggio. Non voleva pensare a lui. Non voleva perché accettare il fatto che l’avesse tradito - forse - era troppo per lui, che si era riscoperto innamorato di lui solo qualche tempo prima. Essere feriti era una cosa tremendamente orribile, e per un secondo credette di capire cosa aveva trovato Tom scoprendo di essere stato adottato. Forse Jorg e Franziska avevano fatto qualcosa che aveva minato il loro rapporto con Tom e Jorg non aveva avuto il coraggio di dirglielo. O, più semplicemente, non se n’erano neanche accorti.
Deglutì a fatica, cercando di muoversi, ma la morsa di Tom sul suo corpo era troppo forte.
“…Stai scherzando con il fuoco, lo sai bene” continuò Tom, staccandosi da lui per fissarlo negli occhi.
Bill cercò di sostenere il suo sguardo e lo trovò estremamente difficile. Non solo lo perforava da parte a parte, ma riusciva a leggerci dentro una marea di cose e, allo stesso tempo, non riusciva a distinguerne nessuna. Era innegabile, provava interesse per Tom, ma solo nel senso… Beh, non in quel senso. Non gli piaceva. Avrebbe solo voluto… capirlo. E non era più tanto per la promessa fatta a Jorg, quanto per una questione di principio. Era testardo lui, e anche Tom se ne era accorto.
Il rasta allentò la presa delle dita sul polso di Bill, sicuro che sarebbero rimasti cinque bei segni rossi dove ora lo stava tenendo, ma non gli importava. Strusciò la sua mano contro il muro, sentendolo gemere di nuovo, e la portò fino all’altezza del suo viso, sempre incatenata alla parete. La mano di Bill era chiusa a pugno e la forzò con le dita per poterla aprire, fino a fargli premere il dorso contro il freddo muro alle sue spalle.
E poi pensò solo di volerlo fare. Per sfregio. Per intimorirlo. Per le sue labbra tremanti.
O più semplicemente perché tutta quella situazione lo aveva arrapato più della vista di una figa in minigonna.
Si ritrovò con la bocca incollata a quella di Bill, mentre lo forzava sulle labbra per fargliele aprire. Poteva percepire il suo shock nella pelle, era evidente che non se lo aspettava.
Neanche Tom se l’era aspettato, non l’aveva programmato, eppure era successo. L’aveva fatto.
Gli piaceva sentire Bill agitarsi sotto di lui mentre cercava di liberarsi, mentre lui continuava a premergli la mano contro la parete.
Quando riuscì ad abbassare le sue difese, la lingua sgusciò nella bocca del moro e la esplorò tutta, passandola in ogni angolo possibile. E Bill continuava a dimenarsi cercando di liberarsi, mugolando, scalciando con i piedi e cercando di muovere la testa.
Aveva cercato di morderlo ma non ci era riuscito, e alla fine si era abbandonato, una lacrima che scivolava giù dalla guancia fino a posarsi sulle labbra di Tom, che aveva preso a divorargli ogni centimetro di pelle intorno alla bocca.
Sentiva il piercing sbattere contro il labbro superiore e la lingua di Tom, calda e veloce, che lo lambiva con lascivia, come se tutta quella situazione fosse eccitante.
E si rese conto che, per il biondo, era drammaticamente eccitante, quando potè sentire un qualcosa premere sul cavallo dei suoi pantaloni. Arrossì, sgranando gli occhi, mentre Tom continuava a fare con il suo corpo ciò che più lo aggradava e poi riuscì a muovere l’altra mano, fino a quel momento rimasta inerte lungo il fianco. Non aveva avuto il coraggio di muoverla per paura che Tom gli afferrasse pure quella, e allora sì, che sarebbe stato davvero in trappola.
La fece scorrere verso l’alto e l’impulso di colpire Tom di nuovo fu forte, ma stavolta si costrinse a pensare. Non poteva farlo. Tom era capace anche di fargli del male, nonostante quello che gli stava facendo non fosse poi così piacevole. Deglutì, le labbra che dolevano, e poi poggiò una mano sulla guancia di Tom. La fece passare tra i loro due volti, tremante, e riuscì a staccarlo, forse perché Tom aveva opposto una debolissima resistenza.
E il biondo gli lasciò andare la mano, facendolo scivolare contro la parete dell’edificio, le labbra arrossate e gonfie e il volto congestionato, il trucco più sfatto di prima e accenni di lacrime intrappolati tra le ciglia.
E fu così che lo lasciò prima di gettargli uno sguardo.
Tom se ne andò, e Bill rimase lì a terra, incapace di muovere un solo muscolo.
Sentiva ancora la percezione del corpo di Tom che si premeva contro il suo, e le sue labbra che lo divoravano, e la sua lingua…
Singhiozzò, passandosi una mano sul volto per poi fermarla sugli occhi.
Non si trattenne. Scoppiò a piangere senza ritegno, tirando su con il naso insistentemente.
E poi, nonostante la disperazione del momento, il pensiero volò al perché era successo tutto quello. Al come aveva fatto Tom a trovarlo, nascosto nel vicolo.
Con una mano tremante estrasse il cellulare e ignorò l’ora tarda - si erano fatte le cinque, ormai - e premette il tasto sotto la busta da lettere che lampeggiava sullo schermo.

Andreas

Tremò, fissando sconvolto il cellulare.
E poi aprì il messaggio, singhiozzando di nuovo.

“Scusa”

Spalancò le labbra tremanti e si strinse il cellulare al petto, sprofondando nel più sommesso dei pianti, e si rannicchiò su se stesso, tenendo saldo il telefono.
In quel momento, non si sentì in grado di fare altro.

*

Jorg posò il gesso nell’apposito contenitore e assegnò i compiti alla classe poco prima che la campanella suonasse.
Come ogni volta, Tom era rimasto seduto sulla solita sedia, lo sguardo perso fuori dalla finestra.
A differenza delle altre volte, però, aveva spostato gli occhi parecchie volte, fissando quel banco vuoto a qualche metro di distanza da lui.
Bill non era andato a scuola, quel giorno, e Andreas sembrava terribilmente agitato.
L’aveva sentito parlare a ricreazione con Gustav e Georg dicendo che Simone, la madre di Bill, aveva detto che si era ammalato, si era preso la febbre o non aveva capito bene cosa.
Si era divertito a guardare la preoccupazione dipinta negli occhi terrorizzati di Andreas, che si riteneva in un qualche modo responsabile della febbre di Bill. Si divertiva perché sapeva che in realtà la causa era lui, e sapeva perfettamente che Bill non stava male ma stava semplicemente cercando di ignorare tutto ciò che era successo. Facile a dirsi. Tom non riusciva a levarselo dalla testa. Era diventata una specie di ossessione e, allo stesso tempo, sentiva una voglia irrefrenabile di non volerlo più vedere neanche in lontananza.
Aveva sorriso, quando aveva sentito Andreas raccontare a Georg e Gustav quello che era successo, ossia che Bill lo aveva trovato abbracciato a una ragazza ed era scappato. Ed ora si spiegava il perché di quel pugno e l’espressione triste che aveva assunto il volto del moro quando Tom aveva fatto il nome di Andreas.
Tom sentiva un odio irrefrenabile per entrambi. Andreas gli era stato sull’anima fin dal primo momento, e poi aveva osato mettergli le mani addosso e lui non aveva fatto in tempo a rispondere perché Bill li aveva allontanati.
Bill… per quanto riguarda lui… Sì, lo odiava. Senza un particolare motivo. O forse perché era un rompipalle strafottente e impulsivo, che prima si mostrava sicuro di sé e poi cambiava immediatamente atteggiamento. Ma non gli importava, forse finalmente era riuscito a levarselo dalle palle, finalmente. Si sarebbe reso odioso ai suoi occhi per farlo allontanare. Non gli avrebbe permesso di stargli accanto solo per fottuto servilismo. Odiava quella roba, lui.
Si avviò verso l’uscita con Jorg e si sorprese di trovare ancora Andreas che conversava con Georg e Gustav. Era davvero insistente, quel ragazzo.
“Sì, andrò a casa sua… Devo spiegarli bene cos’è successo” disse il biondo passandosi una mano sulla fronte. Era innamorato di Bill, lui, non lo avrebbe mai tradito. Era uscito con quella ragazza solo per ripicca. Si era sentito estremamente geloso quando aveva saputo che Bill gli aveva mentito riguardo a Tom, che aveva sentito il cuore spezzarsi nel petto e la rabbia annebbiargli la mente. Era parecchio impulsivo, non poteva farci niente. Gli piaceva Bill e non voleva che qualcuno glielo portasse via.
Tom ascoltò il loro discorso in modo frammentario, mentre Jorg gli parlava. Non lo stette a sentire e, quando il professore gli chiese se avesse capito, Tom lo liquidò con un “Ho da fare, ci vediamo stasera”.
Gettò un’occhiata ad Andreas che era uscito dall’edificio correndo, probabilmente diretto verso casa di Bill.
Sorrise impercettibilmente incamminandosi anche lui, mentre suo padre lo fissava da dietro, sconsolato. La cosa che più gli faceva rabbia era che non riusciva ad imporsi: Tom voleva fare qualcosa? La faceva, nonostante fosse sbagliata. Tom voleva qualcosa? La otteneva, anche con metodi poco ortodossi.
Scosse la testa, sospirando contrito.
Non ne poteva più di tutta quella situazione.
Jorg strinse di più la presa sulla ventiquattrore e si avviò verso la sala professori per raccogliere gli ultimi libri e tornare finalmente a casa.

*

Tom si appiattì contro il muro.
E poi si diede dell’idiota, chiedendosi perchè si fosse ridotto a seguire un ragazzino che stava andando a scusarsi con il suo amichetto frocio. Che gliene fregava a lui, dopotutto?
Nonostante tutti questi bei pensieri, però, si ritrovò a sporgere il collo mentre Andreas suonava il campanello di casa Trumper.
La porta si spalancò dopo un paio di minuti e la figura di Bill in pigiama fece capolino, fissando attonito il biondo sulla porta.
Andreas allungò una mano per bloccare un’eventuale mossa del moro e lo fissò implorante. Tom tese le orecchie per sentire cosa stava dicendo.
“…Per favore, Bill, lasciami spiegare…” biascicò il ragazzo spingendo la porta con una mano, ma Bill lo fissò torvo.
“…Vaffanculo” disse solo, facendo pressione con tutto il corpo per richiudere la porta. Tom, nascosto nel suo angolino, non potè fare a meno di ridacchiare mentre il portone veniva sbattuto in faccia ad Andreas, che si ritrovò a fissare sconsolato il tappetino con scritto “Willkommen” sotto i suoi piedi.
Tom si sentì improvvisamente soddisfatto.
Forse Bill non era poi così male come aveva pensato.
 
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MiTcIv RuOy
view post Posted on 14/1/2010, 23:17     +1   -1




ti imploro oh grande spacciatrice di fan fiction e twincest! POSTAAAAAAAA
 
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°[Ginny]°
view post Posted on 15/1/2010, 14:11     +1   -1




Capitolo 4





Sbattergli la porta in faccia non lo fece sentire meglio come aveva sperato. Aveva semplicemente aumentato la tensione e l’angoscia che lo attanagliavano già da un paio di giorni. Aspettò che lo sbattere della porta smettesse di riecheggiare nella sua mente e corse in sala, rannicchiandosi velocemente sul divano. Era solo in casa ed era stato costretto ad aprire. Non aveva la febbre, non era vero, si era sentito semplicemente troppo stanco e sconvolto per poter tornare a scuola. Andreas che usciva con un’altra, Tom che lo baciava… di certo non era stata la sua settimana fortunata. E poi il polso gli faceva ancora male, fanculo.
Tirò su la manica del pigiama e espose il braccio fino al gomito, fissandolo attentamente. Sulla pelle accanto alla mano, proprio all’attaccatura del polso, potè notare cinque segni rossi lambirgli la pelle. Ripensò con rammarico a quello che era successo quella notte e a come fosse riuscito a trascinarsi a casa e rincasare praticamente all’alba. Si era infilato a letto e non si era alzato per tutta la giornata neanche per mangiare. Simone, credendo avesse preso l’influenza, aveva ritenuto saggio farlo restare a casa e lui gliene era stato tremendamente grato. Finché non aveva sentito il campanello suonare e aveva aperto la porta.
Sapeva che era Andreas. Sua madre non suonava mai, aveva le chiavi, così come Gordon. E di certo non poteva essere Tom che veniva a scusarsi per quello che aveva fatto. Magari quando un meteorite sarebbe caduto nel giardino di casa sua, forse sì, Tom sarebbe andato da lui a chiedergli di perdonarlo.
Afferrò la coperta al lato del divano e si stravaccò sui cuscini, raggomitolandosi per poi coprirsi. Ultimamente sentiva sempre freddo, e non era a causa del clima; ripensare a quello che era successo quella notte lo faceva sempre rabbrividire, e non riusciva a smettere di provare paura. Aveva avuto timore di non poter sfuggire a Tom, quella notte, e non si spiegava perché l’avesse baciato. Certo, Tom prendeva quello cha voleva… questo significava forse che voleva lui…?
Si strinse di più nelle spalle, pressando la faccia contro il cuscino. Non voleva pensare una cosa del genere. Lui odiava Tom e Tom odiava lui, l’aveva baciato solo perché l’aveva fatto incazzare, era ovvio.
Rialzò la testa e si passò una mano sulle labbra tremanti. Gli aveva fatto male. Non solo al polso, ma il modo in cui gli aveva schiuso le labbra con violenza, come gliele aveva morse e come gli aveva divorato ogni centimetro di pelle intorno alla bocca… Il solo pensiero lo faceva tremare. Non gli era piaciuto affatto essere succube di Tom.
Sospirò, deglutendo.
Prima o poi sarebbe dovuto tornare a scuola, incontrare lui, Andreas, il professor Kaulitz…
Non era sicuro di potercela fare.
Sbadigliò, riscoprendo improvvisamente di avere ancora sonno. Poteva dormire, nessuno gliel’avrebbe impedito. Magari Simone, tornata a casa, si sarebbe un po’ arrabbiata trovandolo addormentato sul divano coperto da una misera coperta, ma non gli importava. Non gli andava di alzarsi.
Ma poi sbuffò sonoramente, imprecando.
Cosa si aspettava? Era ovvio che il telefono avrebbe squillato proprio nel momento in cui aveva trovato la posizione giusta sul divano. Succedeva sempre così.
Si alzò svogliatamente e raggiunse il cordless che trillava fastidioso, lo sollevò e sbottò in un “pronto?!” poco cordiale.
Attese qualche secondo in silenzio, poi si ritrovò a sgranare gli occhi quando la voce di Andreas gli giunse alle orecchie.
“Bill, per favore, non riattaccare” disse il biondo in tono grave. Bill trattenne il respiro, premendo le labbra tra di loro. Scosse la testa spazientito ed esordì nell’ennesimo vaffanculo della giornata, poi premette con violenza il tasto rosso.
Si ritrovò a scagliare il cordless sulla base con nervosismo, sentendo le lacrime premergli ai lati degli occhi. Odiava piangere per quell’idiota, ma non poteva trattenersi. Gli piaceva Andreas, nonostante tutto, ne era ancora innamorato e avrebbe tanto voluto perdonarlo.
Ma per quello che ne sapeva, Andreas poteva anche essere stato a letto con quella ragazza, oppure magari era uscito con lei solo per distrarsi, forse era solamente un’amica…
Tornò a stendersi sul divano sperando che il telefono non squillasse di nuovo.


*



Andreas sospirò richiudendo lo sportelletto del cellulare. Se lo infilò in tasca con un gesto secco e si allontanò dalla casa di Bill. Appena gli aveva sbattuto la porta in faccia, dopo il primo momento di shock, aveva pensato di chiamarlo, sperando stupidamente che lo avrebbe ascoltato. Si era sbagliato, e anche alla grande.
Percorse a grandi falcate il vialetto e si avviò per strada, le mani nelle tasche. Si sentiva stanco di tutta quella situazione. Lui non aveva tradito Bill, non ne aveva la minima intenzione. Aveva semplicemente sentito il bisogno di staccare la spina, perché l’arrivo di Tom aveva sconvolto tutto. Bill era troppo interessato a lui. Forse gli piaceva. Forse lo preferiva a lui.
…Forse era solo paranoico.
Calciò un sassolino che si trovava sul suo percorso e scosse la testa sconsolato. Voleva fare pace con Bill. Ad ogni costo.
Estrasse una mano dalla tasca e tastò quelle posteriori dei jeans alla ricerca delle sigarette, ma non le trovò.
Forse erano cadute davanti casa di Bill…
Si voltò di scatto e prese a percorrere la strada al contrario, pensando che forse, già che c’era, avrebbe potuto fare un altro tentativo.


*



Tom uscì dal suo nascondiglio sorridendo beffardo. Non si era mai divertito così tanto in vita sua; Bill aveva davvero fegato, doveva ammetterlo, e la faccia di Andreas era stata davvero impagabile. Avrebbe regalato i suoi cappelli per poterla vedere di nuovo.
Gettò un’occhiata alla casa di Bill. Era grande. Suo padre doveva avere un ottimo impiego, si ritrovò a pensare.
Si avvicinò di qualche passo, notando la targhetta del campanello. Era troppo lontana e non riusciva a leggere il nome, così si avvicinò incuriosito. Magari avrebbe potuto suonare spacciandosi per Andreas, così, giusto per far incazzare Bill ancora di più.
Sorrise a se stesso e salì i quattro gradini che separavano il vialetto dalla porta. Fissò la piastrina.
Trumper.
Aggrottò le sopracciglia, figurandosi il volto di Bill.
…Beh, in effetti ce l’aveva proprio, la faccia da Trumper.
…Che aveva detto?
“Come diavolo sarebbe, la faccia da Trumper?” si chiese, trovandosi completamente idiota.
Scosse la testa e si voltò per scendere i gradini, ma si bloccò proprio sull’ultimo, un piede a mezz’aria.
Non potè fare a meno di lasciarsi sfuggire un sorrisetto divertito, notando lo sguardo furente di Andreas. Lo fissava con gli occhi infuocati dalla rabbia, le mani strette a pugno. Inizialmente, Tom non riuscì a spiegarsi quel rancore improvviso. Certo, si odiavano, erano quasi venuti alle mani, ma proprio non riusciva a capire perché lo guardasse così proprio in quel momento. Non aveva fatto nulla, in fondo. Ma poi si voltò verso la porta della casa, fissandola con un sopracciglio alzato. E capì al volo. Sembrava che fosse appena uscito da casa di Bill, in quella posizione, e non riuscì a non provare un moto di compassione verso Andreas, che aveva frainteso.
Compassione che durò neanche due secondi, perché scese l’ultimo gradino con camminata strafottente e gli sorrise beffardo, lo sguardo estremamente divertito.
“Ehi” lo salutò con un cenno del capo, sorpassandolo a passo estremamente lento. Poteva percepire la rabbia di Andreas anche a distanza, e poi riuscì a percepirla anche a pelle quando il ragazzo scattò verso di lui, bloccandogli la strada.
“Che cazzo ci facevi a casa di Bill?!” ruggì, indicando con un dito la porta.
Ora si spiegava perché Bill l’aveva mandato al diavolo, voleva stare da solo con Tom.
“Mah…” rispose Tom vago, gettando un’occhiata al cielo. Quel comportamento menefreghista fece irritare il biondo ancora di più, che si ritrovò ad avanzare di un passo, fronteggiando l’avversario nonostante la differenza di altezza.
“…E’ divertente. Si gioca bene con lui” sorrise beffardo, sovrastandolo. Andreas si ritrovò con il fiato mozzato. Cosa voleva dire, che si giocava bene con Bill? Forse loro due avevano…
Non si diede neanche il tempo di pensare, mentre Tom gli scoppiava a ridere in faccia. Caricò indietro il pugno e lo colpì dritto sul volto, facendolo ululare.
Tom scattò all’indietro portandosi una mano sul viso, sentendo il labbro lacerarsi e il sangue colargli nella bocca e sul mento. Ringhiò e assottigliò gli occhi.
Si pulì con il dorso della mano e scosse la testa sprezzante.
“Te la sei cercata, ragazzino”
Percorse in due falcate la distanza tra lui e Andreas e lo spintonò, colpendolo forte sulle spalle. Il biondo barcollò all’indietro e riuscì, non seppe come, a non cadere, e ringhiò, quasi.
Tom lo fissava sempre con quel ghigno divertito, e si scrocchiò le dita delle mani con violenza, muovendo di nuovo un passo avanti. Afferrò Andreas per il colletto della felpa e lo attirò a sé, facendolo schiantare contro il suo pugno.
Il biondo si piegò in due tenendosi lo stomaco e boccheggiò, tentando di rimettersi dritto.
Tom sentiva ancora il sangue colare sul mento e il dolore al labbro farsi più persistente ogni secondo che passava, ma non se ne curò. Si limitò ad osservare Andreas che, ancora piegato in due, si teneva la pancia e barcollava cercando di allontanarsi.
Scosse la testa. Era patetico, quel ragazzino. E forse aveva bisogno di una svegliata, per farlo divertire.
“Sai, Bill… è bravo” disse, alzando gli occhi al cielo. “Ha una bocca incredibile. E poi… come muove quella lingua…” proferì saccente, un sopracciglio alzato e la punta della lingua che sfiorava il piercing sul labbro inferiore. Andreas sentì un’improvvisa voglia di fargli molto, ma molto male, e non esitò. Si rimise in posizione eretta e si avventò su di lui, colpendolo con quanta più forza aveva. Tom schivò il colpo e il biondo rovinò a terra, in ginocchio.
E tutto quello che sentì dopo fu la risata di Tom che gli riempiva le orecchie e, davvero, in quel momento non riuscì più a capire niente.
Si rialzò di scatto e afferrò Tom per la maglia, mollandogli un altro pugno. Preso alla sprovvista, il rasta incassò il colpo con un gemito di dolore, ma la sua risposta non si fece attendere. Con una testata, colpì Andreas sulla fronte e quello ululò, vacillando.
“E poi…” Andreas, inginocchiato a terra, si teneva la testa che doleva da morire, e Tom si inginocchiò di fronte a lui “Sai, Andi, il culo di Bill è… soddisfacente, proprio come credevo. Peccato tu non abbia ancora potuto provarlo”.
Il biondo scattò con la testa in alto, sentendo la rabbia crescere ancora, e fissò Tom negli occhi.
“…Figlio di puttana…”
Tom si ritrovò a ridere, piegando leggermente la testa all’indietro.
“Oh, se lo dici tu mi fido, io non la conosco mia madre” rispose sorridendo ironico. Era vero, lui non conosceva sua madre, per quanto ne sapeva poteva averlo abbandonato perché era una puttana o per qualche altro fottuto motivo. Ma gli andava bene così. Non voleva sapere niente, non gli interessava.
Fissò gli occhi di Andreas ridursi a due fessure e lo afferrò di nuovo per la maglia, facendolo alzare. Non c’era gusto a prendersela con lui, se non reagiva. O meglio, reagiva eccome, ma non era per niente soddisfacente.
“Non credevo ti piacessero le puttane. E’ stato troppo facile”
Gli occhi di Andreas si spalancarono a dismisura, mentre si liberava dalla stretta dell’avversario.
“Figlio di puttana!!” stavolta gridò, e si avventò su Tom con più ferocia di prima. Caddero entrambi a terra, colpendosi ogni qual volta la posizione lo permetteva, e continuarono a prendersi a pugni.
Troppo presi per notare altro, non si accorsero che la porta di casa Trumper si era spalancata di scatto e che Bill aveva fatto la sua comparsa urlando con gli occhi sgranati.
“Cazzo, fermatevi!!” gridò, saltando a piedi pari i gradini per correre dai due. Non si erano accorti della sua presenza e si trovarono bruscamente separati l’uno dall’altro, quando Bill si frappose tra di loro con le braccia tremanti aperte e l’espressione sconvolta.
“Che cazzo credete di fare?!”
Andreas si pulì il sangue che gli colava dal naso, passandovi sopra la manica della maglia, e Tom si leccò via il sangue che aveva ripreso ad uscire di nuovo dal labbro. Il moro, ancora con le braccia tese, ansimò, spostando lo sguardo da uno all’altro.
Si era addormentato sul divano, contento che Andreas non avesse richiamato, ma aveva subito sentito dei rumori sospetti all’esterno e si era precipitato a controllare. E cos’aveva trovato? Loro due che se le davano di santa ragione. Cristo, roba da pazzi!
Abbassò lentamente le braccia, allontanandosi un po’. Andreas e Tom ancora si squadravano, i lampi che partivano dai loro occhi non preannunciavano nulla di buono.
“…Voi siete pazzi…” sussurrò sconvolto, passandosi una mano sulla fronte. Rabbrividì quando una folata di vento si alzò, in fondo indossava solo il pigiama e le caviglie ossute e i piedi erano coperti da dei minuscoli calzini neanche tanto pesanti.
“…Ah, sono io il pazzo?!” rispose Andreas all’improvviso, girandosi verso Bill. La testa del moro e quella del rasta scattarono verso di lui. “Tu sei andato a letto con lui!”
Bill non potè far altro che sgranare gli occhi e spalancare la bocca, indignato e sconvolto.
“IO?! MA… COME TI SALTA IN MENTE?!”
Era davvero incredulo. Lui, andare a letto con Tom? Ma se gli aveva fatto schifo anche solo essere baciato da lui…!
“Sì, lo so che ci sei stato!” esclamò Andreas arrabbiato, serrando i pugni. Lo sguardo di Bill, confuso, saettò velocemente verso Tom.
“…Che cosa gli hai detto?” sibilò a denti stretti, mentre Tom si stringeva nelle spalle e si sistemava meglio il cappellino sulla testa.
“…Solo la verità, Billi”
Il capo di Andreas scattò verso Tom, mentre Bill storceva le labbra in una smorfia di disgusto. …Lo aveva appena chiamato Billi?
“Non chiamarlo Billi” ringhiò il biondo muovendo un passo avanti.
“Lo chiamo come mi pare” rispose Tom strafottente, incrociando le braccia.
Andreas mosse un altro passo avanti, intenzionato a dare inizio al secondo round, ma Bill all’improvviso sbatté violentemente un piede a terra, gridando.
“ADESSO BASTA!”
I due si bloccarono proprio mentre si avvicinavano per continuare a darsele di santa ragione, e lo fissarono sgomenti. Bill aveva quasi gli occhi fuori dalle orbite.
“Basta, mi avete stufato! Tutti e due!!” ringhiò e si sistemò la frangetta che era ricaduta malamente sugli occhi. “E che cazzo, non posso avere una vita normale?! Se proprio dovete ammazzarvi di botte fatelo lontano da casa mia, così almeno non mettete in mezzo pure me! E TU!!” si voltò rabbioso verso Andreas, fulminandolo, “Come puoi credere a quello che ti dice quell’idiota?! Insomma, sei più imbecille di lui se credi a tutte le cazzate che ti rifila!”.
Ansimò, riprendendo fiato, e poi la sua testa scattò verso Tom. Assottigliò gli occhi e spalancò la bocca. “E tu non azzardarti più a dire cose del genere, non verrei a letto con te neanche se fossi l’ultima persona rimasta sulla faccia della terra!!! Non mi piaci e non mi piacerai mai!!”.
Detto questo, girò sui tacchi - sui talloni, in realtà - e tornò velocemente in casa sbattendosi la porta alle spalle.
Andreas e Tom ci misero un po’ per riacquistare coscienza di loro stessi. La sfuriata di Bill li aveva leggermente spiazzati, non se l’aspettavano.
Quando finalmente riuscirono a parlare, Tom si voltò e sbuffò.
“Bah, lasciamo perdere…”
Se ne andò scuotendo la testa, le mani in tasca, mentre Andreas lo fissava allontanarsi.
Bene, se prima aveva qualche speranza di far pace con Bill, ora era davvero tutto andato a puttane. Giusto per restare in tema.


*



“Ehi, passata la febbre?”
Bill si piegò in avanti, spinto dalla poderosa pacca sulla spalla che Georg gli aveva rifilato.
“Sì…” biascico, tossendo. Il ragazzo sorrise e con lui Gustav, che gli chiese dove fosse Andreas.
“Cazzi suoi” si limitò a rispondere Bill, affrettandosi ad entrare nell’edificio dove la campanella aveva iniziato a trillare come impazzita.
Camminò velocemente percorrendo le due rampe di scale, fregandosene di chi lo chiamava e di chi lo urtava. Non gliene fregava niente di Andreas né di Tom, voleva solo avere una vita scolastica normale, non gli sembrava di pretendere la luna.
Era tornato a scuola un paio di giorni dopo l’accaduto. La scusa della febbre aveva funzionato, a quanto pareva, e tutti si preoccupavano per lui chiedendogli come stesse.
E lui rispondeva di stare bene, che ormai era guarito, ma in realtà non era così.
Era incazzato. Incazzato nero.
Come poteva Andreas avere così poca fiducia in lui? Insomma, era stato lui ad andare con un’altra, non il contrario! Quello diffidente doveva essere Bill. E lo era, infatti, per questo lo aveva evitato accuratamente.
Entrò in classe lanciando la borsa al solito posto. Si abbandonò sulla sedia e si passò una mano sulla fronte, in attesa dell’arrivo del professore. Quel giorno non aveva lezione di matematica quindi non avrebbe visto il professor Kaulitz. Meglio così, si ritrovò a pensare.
Gli era venuta voglia di mollare tutto, di mandare al diavolo promessa e curiosità e di allontanarsi da Tom. Ma non ne aveva veramente il coraggio…
Voltò di scatto la testa quando un ragazzo biondo varcò la soglia, la borsa in spalla e un volto estremamente corrucciato.
No, non lo avrebbe perdonato.
Andreas gli gettò un’occhiata mentre lo sorpassava per raggiungere il suo banco e si lasciò andare stancamente sulla sedia, sospirando. Bill pregò con tutte le sue forze che non lo chiamasse, ma a quanto pareva qualcuno ce l’aveva con lui, lassù.
Sentì infatti picchiettare sulla sua spalla e si voltò ringhiando.
“Bill…”
“Cosa? Vuoi chiedermi se ho fatto una sega a Georg?” chiese sprezzante, ancora più incazzato di prima. Il tono supplichevole che Andreas gli aveva rivolto gli aveva fatto attorcigliare lo stomaco, e questo lo infastidiva più di tutto quanto. Gli piaceva ancora, cazzo.
“Vorrei… parlare” mormorò il biondo cercando di non farsi sentire da nessuno. Bill scosse la testa.
“Io no” rispose secco, voltandosi di nuovo verso il suo banco. Andreas gli afferrò la spalla e lo costrinse a fissarlo.
“…Per favore… scusa…” sibilò a denti stretti.
Il groviglio nello stomaco di Bill si spostò al petto, e il cuore prese ad accelerare i battiti. Gli occhioni imploranti di Andreas erano davvero troppo, non sarebbe riuscito a resistergli ancora per molto.
“Andreas…” cercò di liquidarlo, ma il biondo insistette.
“Solo… stammi a sentire, d’accordo? Non chiedo altro” chiese lui, sospirando.
Bill non potè fare a meno di sentirsi un po’ in colpa. Non aveva mai visto Andreas così corrucciato e dispiaciuto. Forse avrebbe potuto ascoltarlo. Forse.
“…Ne parliamo dopo” rispose, fintamente scocciato. Sentì Andreas mollare la presa sulla sua spalla e poi lo vide sorridere.
“…Ok”
Bill tornò a voltarsi e poggiò la schiena allo schienale della sedia, inspirando e espirando un paio di volte.
Doveva imparare a calmarlo, quel cazzo di cuore, altrimenti sarebbe rimasto fottuto a vita!


*



Il cortile posteriore della scuola era sempre stato un buon nascondiglio. Era lì che gli studenti si rifugiavano per fumare senza essere beccati dai professori.
Ed era lì che Andreas aveva portato Bill per parlare.
Il moro poggiò la schiena contro la parete fredda dell’edificio, le braccia incrociate al petto e le sopracciglia corrugate.
“Allora?”
Andreas, titubante, deglutì nervoso e lo fissò, pregandolo con gli occhi.
“…Ok, fammi parlare senza interrompermi, per favore”
Bill annuì stancamente e gli fece cenno con la mano di continuare.
“Allora… non so da dove cominciare, ma quello che voglio che tu sappia è che non ti ho tradito. Non ho fatto niente con quella” iniziò, parlando velocemente. Bill riuscì a malapena a capire quello che aveva detto, e spalancò la bocca per dirgli di calmarsi, ma il biondo sollevò una mano di scatto.
“Nono, aspetta, fammi finire. Non ci ho fatto niente con quella, siamo usciti insieme solo perché avevo bisogno di distrarmi, è solo un’amica. Volevo togliermi dalla testa per un po’ la situazione, perché ero geloso, Bill, sono geloso di Tom tutt’ora e non posso farci niente. Il solo pensiero che tu possa essere andat-”
“Lo sai che non abbiamo fatto niente!” lo interruppe arrabbiato Bill, staccandosi dal muro. Quando era agitato gesticolava con le mani, pensò Andreas, e in quel momento Bill stava effettivamente gesticolando.
“La cosa che mi dà fastidio è che pretendi la mia fiducia incondizionata ma non fai niente per ripagarmi! Puoi immaginare come mi sia sentito vedendoti con un’altra? Cazzo, Andreas, stavo piangendo perché credevo mi avessi lasciato, ero distrutto e poi tu ti presenti lì, con quella cazzo di mano sul fianco di quella e… e…” la vista gli si appannò velocemente, e si portò una mano sugli occhi, cercando di trattenere le lacrime. “E io ero geloso, ero fottutamente geloso perché mi piaci, e lo sai…” continuò a voce sempre più bassa, un enorme groppo in gola. Tirò su con il naso e si voltò per non far notare al biondo la lacrima che era scivolata sulla sua guancia. Si sentiva patetico. Dove diavolo era finito lo spirito battagliero di poco prima…?
Sentì i passi di Andreas che si avvicinavano, e si strinse nelle spalle quando lui gli afferrò un braccio. Lo costrinse a voltarsi e lo abbracciò, inglobandolo tra le sue braccia rassicuranti. Gli schioccò un bacio sulla fronte e avvicinò le labbra al suo orecchio, chiedendogli scusa in un sussurro.
Bill tremò nell’abbraccio e si strinse a lui, cercando di frenare le lacrime. Lo sapeva, l’amore era un fregatura, ma a lui piaceva Andreas e non poteva farci niente. Non era in grado di controllare una cosa come quella.
Andreas allontanò la testa da quella di Bill per poterlo fissare negli occhi, e poi gli sfiorò le labbra con le sue in un bacio casto e tremendamente tenero. Così tenero che Bill sentì il groviglio nel petto sciogliersi e lo abbracciò a sua volta.

E fu in quel momento che Tom, passato di lì per caso, bestemmiò contro tutti i santi del calendario e se ne andò a passo svelto, cercando di ignorare quell’inspiegabile rabbia che si era impadronita di lui all’improvviso.
 
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MiTcIv RuOy
view post Posted on 15/1/2010, 20:56     +1   -1




tommy tommy.. continua ti prego!!
*si inginocchia idolatrando il pc*
 
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°[Ginny]°
view post Posted on 15/1/2010, 21:19     +1   -1




questo capitolo è scioccante preparatevi psicologicamente

Capitolo 5




Bill aveva sempre provato una grande ammirazione per il professor Kaulitz.
Sapeva svolgere benissimo il suo lavoro, era simpatico, molto alla mano, e sapeva soprattutto come trattare con i suoi studenti. Molto probabilmente era il tipo di professore che tutti avrebbero voluto avere.
Ultimamente, però, Bill non era più così felice di parlargli.
Non aveva niente di personale contro di lui, semplicemente lo infastidiva il fatto che il loro oggetto di conversazione fosse Tom. TomTomTomTomTom. Sempre Tom. Sempre e solo Tom.
Non ne poteva più di sentire quel nome. E non era solo per il bacio in sé - quello ormai l’aveva superato, anche se ricordarlo gli faceva ancora un po’ schifo -, ma per quello che Tom aveva detto ad Andreas. Lui, a letto con quel teppista. Roba da pazzi, davvero!
Comunque, le conversazioni con Jorg si erano fatte monotone. Lui gli chiedeva come andava con Tom e Bill rispondeva sempre che era tutto ok, che ci stava lavorando, mentre ormai nella sua testa se ne era già lavato le mani. Tom non voleva essere aiutato, e lui di certo non avrebbe rischiato il culo per fargli cambiare idea.
L’unica cosa che lo risollevava un po’ era che comunque Andreas era con lui, più protettivo che mai. Lo teneva a distanza da Tom, passava tutto il suo tempo con lui…
In più, era arrivata la notizia che a novembre avrebbero fatto una piccola gita, due giorni e una notte, anche se non ricordava dove. Non che gli importasse, l’importante era staccare la spina da tutta quella situazione ormai divenuta scomoda.
Bill, il giorno della notizia, era piuttosto allegro. Non avrebbe avuto matematica e, magari per un giorno solo, sarebbe riuscito ad evitare l’argomento Tom. E Andreas era felice con lui, mentre parlava della gita scolastica.
“Ovviamente staremo in stanza insieme” disse il biondo categorico. Bill annuì entusiasta e si sistemò meglio i capelli dietro l’orecchio, aspettando il suono della campanella. Era l’ultima ora di lezione e non vedeva l’ora di tornare a casa.
“Ti va di venire da me stasera?” chiese Andreas rigirandosi tra le mani una matita. Bill si bloccò un attimo e poi annuì con gli occhi che brillavano. Era da un po’ che non andava a casa di Andreas, voleva tanto salutare i suoi genitori.
“I miei non ci saranno” lo avvertì subito quello, come se gli avesse letto nel pensiero. Bill sobbalzò appena e sorrise debolmente.
“…Ah, ok” non riuscì a rispondere altro. La sua mente aveva preso a vagare verso lidi lontani.
…E poi era lui quello puro e casto.
Scosse violentemente la testa arrossendo appena e sentì il suono della campanella farsi strada per i corridoi. Saltò in piedi immediatamente con un piccolo urletto felice e afferrò la borsa, afferrando la mano di Andreas e uscendo dalla classe.
Ma si bloccò.
Ci aveva sperato. Magari, anche solo per un giorno, il nome Tom non sarebbe stato pronunciato dalle sue labbra. Ma si era sbagliato.
“Bill, posso parlarti?” Jorg Kaulitz era di fronte a lui, più pallido che mai. Sembrava stanco, e Bill si sorprese di fare lo stesso pensiero ogni qual volta che lo vedeva.
“…Ok…” lasciò andare la mano di Andreas che lo fulminò con lo sguardo.
“Ti aspetto”
“…No, Andi, vai a casa. Ci vediamo da te alle sette, ok?”
Il biondo rimase perplesso qualche secondo, poi annuì, sbuffando.
“D’accordo”.
Salutò con un cenno il professore e strinse per un attimo la mano di Bill, poi si allontanò per il corridoio.
Jorg lo fissò andare via e sospirò, contrito.
“Mi dispiace. Deve infastidirlo molto tutta questa situazione”
Bill voltò di scatto la testa verso il professore, fissandolo con occhi leggermente sgranati.
“…Come, scusi?”
“So che state insieme, Bill” sorrise dolcemente l’uomo, passandosi una mano sulla fronte. “State bene”.
Bill si sentì arrossire immediatamente e deglutì, cercando di riacquistare un minimo di calma.
“Di… di cosa voleva parlarmi?”
“Oh sì… Entriamo in classe, staremo più tranquilli”.
Bill avrebbe preferito tornare a casa invece di dover affrontare un’altra conversazione su Tom, ma non disse nulla e seguì il prof all’interno dell’aula vuota. Chiuse la porta e aspettò che l’uomo parlasse, aspettandosi la solita domanda.
E quella non tardò ad arrivare.
“Va tutto bene con Tom?”
Bill deglutì. Oh, ma certo. Escludendo il fatto che Tom gli aveva messo le mani addosso, l’aveva fatto lasciare con il suo ragazzo e gli stava praticamente rovinando l’esistenza… sì, tutto sommato andava bene.
“…Ci sto lavorando. E’ difficile” rispose velocemente, cercando di apparire sincero. In un certo senso si sentiva rassegnato, gli dispiaceva però doverlo dire a Jorg.
L’uomo sorrise appena, massaggiandosi le tempi con i polpastrelli delle dita.
“Ti ringrazio, Bill…” sorrise di nuovo e Bill lo fissò interdetto per un attimo.
“…Professore, tutto bene?”
Jorg non fece in tempo ad annuire che rovinò a terra sotto gli occhi increduli di Bill.
Rimase immobile per un attimo, fissando il corpo dell’uomo steso scompostamente sul pavimento.
Non sapeva cosa fare. Sentiva il cuore in gola e le mani sudate, e la testa girava. Cosa doveva fare? Non lo sapeva, ma non riusciva a muoversi.
Ma poi si svegliò all’improvviso e indietreggiò, uscì dalla stanza e corse in sala professori.
“Il professor Kaulitz è svenuto!!” gridò al primo insegnante che si trovò di fronte. Quello lo fissò ad occhi sgranati.
“Cosa?”
“Il-il professore… è in classe, è svenuto!” Bill prese a balbettare, nel panico. Non gli era mai capitato nulla del genere, era tremendamente spaventato.
“Ok, calmati” l’insegnante lo afferrò per le spalle e lo scosse leggermente. “Dov’è Jorg…?”
“..Nella… Nella mia classe… La… La accompagno…”
L’uomo annuì e Bill, seppur tremando, gli fece strada correndo fino alla sua classe. Alla vista del professore a terra, subito si avvicinò ed estrasse il cellulare per chiamare un’ambulanza, sentendo il battito sul polso di Jorg troppo debole.
“Vai ad avvertire gli altri insegnati!” esclamò l’uomo, e Bill sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene al tono preoccupato che aveva usato. Non poteva stare male, no? Insomma, stavano parlando fino a qualche secondo prima, non poteva essersi sentito male così all’improvviso. Era pallido, sì, ma insomma…
“VAI!”
Bill sobbalzò e corse a per di fiato per il corridoio, facendo di nuovo irruzione nella sala professori. Era vuota.
Si guardò intorno alla ricerca di qualcuno e notò l’ufficio del preside, ma non perse tempo a bussare. Spalancò la porta e l’uomo sobbalzò.
“Che succede?”
“Il professor Kaulitz si è sentito male!” esclamò Bill in preda al panico.
Il preside sgranò gli occhi ed imprecò, alzandosi immediatamente.
“Vai a casa, ragazzo, ci pensiamo noi a lui” disse, e poi scomparì per il corridoio.
Bill rimase immobile, tremante.
L’espressione del preside era preoccupata. C’era qualcosa che non sapeva…?
Tremò ancora un volta.
Doveva avvertire Tom.


*



Non sapeva dove cercarlo. Non aveva il suo numero e non poteva chiamarlo.
Si guardò intorno, per strada, alla ricerca di un’idea. Non sapeva cosa fare.
Tom era uscito prima a quanto pareva, a scuola non c’era. Forse era con il suo gruppo a tracannare birra in un qualche locale malfamato, e lui di certo non conosceva nessun posto del genere.
Prese a girare a vuoto, a guardarsi intorno alla ricerca di quei lunghissimi rasta che gli avevano fatto un po’ schifo la prima volta che li aveva visti, ma non riuscì ad adocchiarli.
E poi, caso volle che passò correndo davanti la vetrina di un bar.
E lì lo vide. Seduto al tavolo, birra in mano, che rideva sguaiatamente con gli amici seduti accanto a lui.
Ringraziò mentalmente il signore ed entrò di corsa nel bar, avvicinandosi a passo svelto. Nessuno di loro si era accorto della sua presenza, eppure attirare l’attenzione di Tom senza farsi vedere dagli altri del gruppo sarebbe stato difficile. Ma ci provò lo stesso.
“Tom”.
Gli poggiò una mano sulla spalla e il biondo si voltò, poggiando violentemente la birra sul tavolo. Lo fissò astioso, sbuffando.
“…Allora mi segui davvero” non era una domanda, ma un’affermazione.
Bill scosse la testa, spalancando la bocca. Dio, quanto poteva essere idiota, quel ragazzo!
“Chi è la tipa?” chiese all’improvviso uno dei ragazzi seduti al tavolo. Bill fece saettare lo sguardo verso di lui e lo fulminò, mentre Tom rispondeva.
“E’ maschio”.
Quello fissò Bill per un attimo, squadrandolo da capo a piedi. “…Oh, beh, è uguale”.
Bill arrossì sentendo anche gli altri sguardi puntati su di lui e strinse la spalla di Tom.
“Devo parlarti…” buttò lì, fingendo disinteresse.
“Fottiti” si limitò a rispondere quello, muovendo violentemente la spalla per scrollarselo di dosso, e si voltò per riprendere a sorseggiare la sua birra.
Bill, nonostante credesse di aver imparato la lezione, non riuscì a trattenersi. Portò una mano in avanti e lo colpì sul viso, facendogli rovesciare la birra. Tutti risero, e gli occhi di Tom si infuocarono.
“Che cazzo…?!” Si alzò dalla sedia facendola strusciare rumorosamente a terra e ringhiò, sovrastando Bill.
“Cerchi rogne, Trumper? Non ti è bastato quello dell’altra volta?” domandò con cattiveria. Bill si ritrovò ad indietreggiare e a fissarlo spaventato e anche un po’ scocciato. Dio, avrebbe voluto picchiarlo ancora…
“…Vaffanculo” rispose duro. Tom scosse la testa sorridendo ironico.
“…A quanto pare no”
Bill tremò appena al ricordo delle labbra violente di Tom sulle sue, ma non si scompose.
“…Basta, io me ne vado” si voltò per andarsene, ma Tom gli afferrò saldamente il polso e lo bloccò.
“E lasciami!!” il moro si liberò dalla sua presa urlando, attirando l’attenzione di tutti.
“…Tuo padre si è sentito male. Ora vedi che puoi fare” concluse, uscendo di fretta dal locale.
Tom rimase immobile, il braccio ancora alzato.


*



Dio, lo odiava. Lo odiava da morire!
Era un cretino senza cervello, egoista, idiota, bastardo e strafottente. E i suoi amici erano cretini tanto quanto lui.
Ringhiò contro la figura di Tom nella sua mente e decise di tornare a casa, ancora piuttosto preoccupato per la salute del professore. Si era spaventato troppo a vederlo cadere così, all’improvviso, e non aveva saputo fare niente per aiutarlo. Si era sentito impotente ed era una situazione bruttissima, non era riuscito a combatterla.
Si sistemò meglio il giubbotto di pelle e si strinse nelle spalle, ma all’improvviso fu costretto a fermarsi. E si voltò, gli occhi sgranati che fissavano un Tom trafelato che gli stava correndo incontro.
“Ehi” il biondo si fermò a pochi passi da lui, e Bill lo squadrò. Non poteva crederci. L’aveva seguito…?
“Che vuoi?” chiese, ancora piuttosto arrabbiato. L’aveva seguito, certo, ma ciò non toglieva che Tom fosse un grandissimo coglione.
“…Che è successo?” domandò Tom a bruciapelo. Bill rimase un attimo interdetto. Tom sembrava… preoccupato?
“…Parlavamo. Parlavamo ed è svenuto all’improvviso” sospirò, passandosi una mano tra i capelli. “Non so, sembrava stanco”
“Parlavate di me?”
Bill annuì velocemente, scrutando l’espressione corrucciata di Tom. Il rasta sembrò scocciato dalla sua risposta e si morse il labbro inferiore.
“E… come sta?”
Bill si strinse nel giubbotto e alzò le spalle. “Non lo so, ma hanno chiamato l’ambulanza. Io sono venuto a cercare te. E, anche se questo non è il momento più opportuno, vorrei le tue scuse”.
Tom alzò entrambe le sopracciglia. “Cosa?”
Bill annuì convinto, appoggiandosi al muro. “Sai, Tom, non credo che tu sia stupido. Non completamente, perlomeno, altrimenti non mi avresti seguito. E’ solo che frequenti quel gruppo di deficienti che ti controlla e non vuoi separartene, perché non hai altri amici”.
Tom aggrotto le sopracciglia, corrucciandosi. “…Non dire cazzate, che ne sai tu?”
“Oh, lo so, fidati. Si vede” rispose Bill saccente, fissandolo. Tom trovò terribilmente irritante quello sguardo e gli si avvicinò, parandosi di fronte a lui. Bill non rimase intimorito. In quel momento si sentiva stranamente tranquillo, anche se piuttosto incazzato.
“Che cazzo ne vuoi sapere tu? Tu hai la tua fottuta famiglia felice, non sei stato abbandonato e poi preso in casa da perfetti sconosciuti che ti hanno mentito per anni!” ringhiò, sentendo le mani prudere. La rabbia stava per prendere il sopravvento.
Bill scosse la testa. “No, che cazzo ne sai tu, della mia vita. Anche io sono stato adottato”
Tom sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di afferrare meglio il concetto.
“E’ per questo che non ti capisco” continuò Bill. “Anche io sono stato adottato, sono nella tua stessa identica situazione. Ma non capisco perché tu abbia reagito in questo modo”
Tom lo fissò, mordendosi il labbro, incapace di rispondere. Bill lo prese come un invito a continuare e parlò di nuovo.
“Quei perfetti sconosciuti, come li chiami tu, ti hanno accolto in casa quando nessuno lo avrebbe fatto, si sono presi cura di te e ti hanno cresciuto con l’amore di un vero genitore. Non li meriti, Tom, sei solo uno stronzo. Non meriti dei genitori così. Tuo padre non merita quello che gli sta succedendo”
“Non è colpa mia se si è sentito male!” gridò Tom in risposta, avanzando di un altro passo.
Bill scosse la testa, ridendo ironico. “Ti sbagli, Tom. E’ colpa tua, e lo sai, e ti fa male”.
Il moro si bloccò, pensando di aver parlato troppo. Si aspettava una reazione violenta da parte di Tom da un momento all’altro, tipo un pugno e un calcio - era capace di pestarlo lì per strada, per quanto ne sapeva -, ma il biondo si limitò a ringhiare sommessamente. Bill si rilassò appena e si staccò dalla parete, sorpassandolo.
“Pensaci” disse solo, e si avviò verso casa.


*



“Si è sentito male?” Bill allontanò la mano di Andreas dalla pancia. Era fredda e lo stava infastidendo leggermente. Eppure il tocco delle sue dita lo faceva fremere ogni volta.
“Sì, mi sono spaventato… Chissà come sta” rispose il moro, mentre Andreas tornava a vagare con la mano sotto la sua t-shirt rossa. Gli accarezzò la pelle accanto al tatuaggio e sorrise, lasciandogli un dolce bacio sulle labbra.
“Avrei dovuto aspettarti” sussurrò al suo orecchio. Bill scosse la testa e gli mormorò che non importava, tanto Jorg si sarebbe sentito male comunque. Andreas rise appena e spinse Bill più giù, facendogli poggiare la testa sul bracciolo del divano.
“Ehi, che vuoi fare…?” chiese malizioso, accarezzandogli la schiena da sopra la felpa verde.
Il biondo gli baciò il collo, succhiando un po’ la pelle in quel punto. “Nulla” rispose con voce roca, continuando ad accarezzargli la pancia da sotto la maglia. Bill rabbrividì per l’ennesima volta e sospirò quando sentì la lingua del biondo farsi strada verso il lobo dell’orecchio.
Le labbra di Andreas si muovevano veloci sulla pelle di Bill e il moro fremeva ad ogni sospiro che si infrangeva contro di lui. Era bellissimo stare così tra le braccia di Andreas, schiacciato dal suo corpo. Non l’aveva mai fatto, era sempre stato un santo, lui.
Un santo eccitato da morire.
La propria erezione si era svegliata velocemente, scontrandosi con lo stomaco di Andreas che sembrava essersene accorto. E anche l’amichetto di Andreas, lì sotto, premette sul bacino di Bill che si era lasciato scivolare più in basso. Sentì una scossa percorrergli il corpo quando Andreas prese a strusciarsi lentamente su di lui, facendo scontrare i membri trattenuti dai jeans, e gemette sulle sue labbra mentre tornavano a baciarsi con passione e desiderio.
La mano di Bill vagò verso il basso, accarezzando il fianco del biondo, e si avvicinò al bordo dei jeans, accarezzandoli. Si sentiva in imbarazzo, ma per una volta nella vita voleva provare a dare piacere a qualcun’altro…
Avvicinò le dita ai bottoni e ne sbottonò uno lentamente, mentre Andreas continuava a baciarlo con passione e si allontanava appena con il bacino per permettergli di muoversi meglio. La mano di Bill si mosse all’interno dei jeans quando abbassò la cerniera ed esitò un po’, sentendo l’inguine di Andreas bollente sotto i boxer. Sfiorò la sua erezione con le nocche, e il biondo non potè fare a meno di spingersi verso il basso, facendo emettere a Bill un gridolino.
“…Bill…”
Andreas si staccò lentamente, sollevandosi dal corpo di Bill. Il moro lo fissò, le labbra gonfie e il volto arrossato dall’imbarazzo.
“…Lo sai che ti amo, vero?”
Bill sbatté le palpebre, interdetto. …Andreas gli aveva appena detto che lo amava…?
Sentì le lacrime premergli ai lati degli occhi e allungò le braccia, passandole dietro il collo di Andreas, e lo attirò verso di sé.
“Anche io… anche io…” ripeté sulle sue labbra, baciandolo profondamente. Il biondo sorrise e lo accarezzò sulla pancia, sollevandogli la maglia. Riuscì a sfilargliela velocemente, facendola passare dalla testa, e la fece scivolare a terra con un fruscio. Le mani del biondo vagarono su tutto il suo petto, così come la lingua, e Bill si sentiva agitato.
Il cuore gli batteva velocemente, aveva paura. Era troppo presto. Stavano correndo troppo.
Si maledì mentalmente; prima era stato lui ad avvicinarsi ad Andreas, a slacciargli i pantaloni… e poi lui gli aveva detto che lo amava. Non poteva tirarsi indietro ora.
Una strana agitazione si impossessò di lui e si sentì la gola secca quando due dita di Andreas aggirarono i suoi fianchi e scesero in basso, verso il bordo posteriore dei jeans.
“…No” sussurrò, posando le fredde mani sul petto del ragazzo. Andreas rimase spiazzato da quel rifiuto, ma si allontanò subito.
“…Scusa, ma… vorrei farlo”
Si mise a sedere, permettendo a Bill di sistemarsi, e il moro lo fissò riconoscente.
“Scusami Andi…” una lacrima scese veloce sul volto di Bill, e il biondo sgranò gli occhi.
“Ehi, ehi… non preoccuparti” lo attirò a sé e lo inglobò nel suo abbraccio, cercando di riscaldare il suo petto nudo. Bill tirò su con il naso, aggrappandosi a lui.
“Io vorrei… ma… non mi sento pronto...” sussurrò, piagnucolando.
“Tranquillo, avremo tempo… Non c’è nessuna fretta” rispose lui sorridendogli dolcemente.
Bill si sentì uno schifo. Aveva un ragazzo che amava tantissimo e che lo amava a sua volta e non riusciva a fare qualche passo in avanti. Era solo un ragazzino.
“…Ti dispiace se torno a casa…? Ho bisogno di riposare…”
Andreas lo fissò e gli schioccò un tenero bacio sulla fronte.
“…Certo. Vestiti, ti accompagno”


*



“Ehi, Tom”
Il rasta si voltò, pulendosi il mento bagnato da alcune goccioline di birra.
Aveva bevuto davvero tanto quella sera, e solo per poter dimenticare quello che gli aveva detto Bill.
L’aveva fatto incazzare da morire, e appena il moro se n’era andato si era sfogato contro il muro prendendolo a calci e pugni, e poi si era rinchiuso in quel fottuto bar con il gruppo. Non era tornato a casa per chiedere notizie di Jorg, e Franziska non si era preoccupata di fargli sapere nulla.
“Vuoi?”
Tom fissò la mano aperta del suo amico. C’erano un paio di pasticche bianche. Le fissò sospetto, guardandosi poi intorno.
“Che roba è?”
“Lo sai” rispose l’altro, ridendo. Era fatto, completamente fatto.
“No grazie, alla vita ci tengo” si limitò a ringhiare Tom. Tornò a bere la sua birra e si portò la canna alle labbra, pensando che almeno quella non l’avrebbe ammazzato.
Non si drogava lui, era contro queste cose, eppure non riusciva a fare a meno di fumare qualche canna ogni tanto.
Erano le dieci di sera. Il locale in cui si erano richiusi, diverso da quello del pomeriggio, era affollatissimo. Ed era anche un postaccio, uno dei soliti postacci che si era ritrovato a frequentare quando aveva incontrato quel gruppo di… deficienti, come li chiamava Bill.
Si staccò la canna dalle labbra e la buttò a terra, rendendosi conto di essere troppo ubriaco per pensare qualcosa di concreto. Finì la birra e sbatté il bicchiere sul tavolo.
Non doveva dirgli quelle cose. Non doveva immischiarsi nei suoi affari. Non avrebbe dovuto parlare con lui, lo faceva sentire dannatamente confuso senza un motivo.
Bill l’avrebbe pagata.
“Tom!”
Si voltò verso un altro del gruppo, che stava sorridendo. Era completamente fatto anche lui.
“Cosa?” chiese noncurante, passandosi una mano sotto gli occhi. Si sentiva stanco e ubriaco, eppure non aveva voglia di fare baldoria. Dannato, fottuto Bill.
“C’è il tuo amico di questa mattina. La femmina”
Tom sobbalzò, seguendo con lo sguardo il punto indicatogli dall’amico.
Bill era lì, per strada, che camminava con Andreas. Erano entrambi zitti e, anche se stessero parlando, non avrebbe saputo di cosa. Li stava osservando solo attraverso una finestra, ma poteva vedere l’espressione corrucciata sul volto di Bill.
Sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla, e poi gli occhi di tutto il gruppo puntati addosso.
“…Andiamo a divertirci”


*



“Ci vediamo domani…”
Bill annuì e si sporse in avanti, poggiando le labbra su quelle di Andreas. Il ragazzo lo baciò leggermente e poi sorrise, stringendogli la mano.
“Entra in casa, fa freddo”
Bill annuì ancora e il biondo lo lasciò andare, per poi allontanarsi.
Il moro rimase immobile a fissarlo mentre si allontanava. Dio, gli voleva davvero troppo bene. Lo amava.
Sospirò, ripensando a quello che era successo a casa sua. Gli era dispiaciuto doverlo fermare, ma davvero non se l’era sentita. Era ancora troppo presto…
Si infilò una mano in tasca alla ricerca delle chiavi di casa e, quando sentì un tintinnio familiare, sorrise, sicuro di averle trovate.
Ma non fece in tempo ad afferrarle che sentì dei passi dietro di lui e si voltò spaventato.
Neanche se ne rese conto. Tre paia di mani lo afferrarono e qualcuno gli tappò la bocca, mentre iniziava a scalciare a destra e a manca per cercare di liberarsi.
L’agitazione prese il sopravvento, purtroppo, e cercò di gridare, ma la mano di quel tipo che lo stava bloccando glielo impedì. Gli altri due presero a trascinarlo e sentì delle risate scomposte intorno a lui, e una lacrima scivolò veloce sulla guancia quando notò, nel buio, una faccia conosciuta.
Mormorò il nome di Tom a labbra strette, sentendo il cuore farsi in mille pezzi. Che cazzo stava succedendo…?
Tentò ancora di liberarsi, muovendo convulsamente braccia e gambe, cercando di colpire i ragazzi intorno a lui, ma riuscì solamente a farli ridere di più. Nonostante la scarsa illuminazione della strada, riuscì a intravedere un vicolo completamente oscuro, ed era lì che lo stavano portando. Sgranò gli occhi e scalciò furiosamente, mordendo la mano a quello che gli tappava la bocca. Quello ululò e si ritirò colpendolo alla testa con il braccio per farlo stare zitto, e Bill gemette quando si ritrovò a terra, faccia a faccia con il marciapiede freddo. L’avevano lasciato andare, ma solo perché erano arrivati proprio lì, dove nessuno avrebbe potuto vederli.
Cercò di rialzarsi ma un piede poggiato sulla sua schiena glielo impedì. Sbatté violentemente con il petto a terra e mugolò, cercando di far leva sulle mani. Ormai piangeva, vedeva tutto sfocato e, in effetti, non faceva differenza. Era quasi tutto buio e lui riusciva solo a percepire le voci dei suoi aggressori.
“Vai Tom, divertiti” esclamò un ragazzo dal vocione terrorizzante. Bill si sentì gelare sul posto e rimase steso a terra, il respiro accelerato. Sentì un paio di mani afferrarlo e si ritrovò in piedi, schiacciato contro la parete di fronte a lui.
“L-Lasciami..!” gemette, mentre sentiva una mano aggirare la sua vita e posarsi sul cavallo dei pantaloni. Sobbalzò e spalancò la bocca, urlando più forte.
“E stai zitto!” Tom lo afferrò per i capelli e gli premette il viso contro la parete fredda le vicolo. Bill senti il sapore metallico del sangue quando il suo labbro si scontrò contro il muro e gemette frustrato, rendendosi conto che non sarebbe riuscito a scappare.
“Tom…” mormorò, cercando di liberarsi, “Lasciami, per favore… Lasciami andare…”
Il biondo non rispose e gli slacciò i pantaloni, avvicinando la bocca alla sua guancia. Bill potè sentire l’odore di alcool e fumo sul suo viso, e strizzò gli occhi. Tom era ubriaco. Forse neanche si rendeva conto di quello che stava facendo.
“Tom…” gemette di nuovo, sentendo i pantaloni che abbandonavano le sue gambe. “Per favore…”
Rabbrividì quando l’aria fredda lo colpì sulle gambe, e boccheggiò quando sentì anche i boxer scivolare a terra.
“No…” mosse un po’ le gambe quando le mani di Tom lo abbandonarono, e portò un piede all’indietro, dandogli un calcio sullo stinco. Tom gemette dal dolore e lo spinse di più contro la parete, respirandogli sul collo.
Bill sentì il rumore metallico di una cinta che veniva sfibbiata e le risate tutte intorno.
E poi successe. E neanche se ne accorse.
Sentì solo un dolore lancinante e non potè fare a meno di gridare, mentre si sentiva come se qualcosa di enorme lo stesse aprendo in due. Ricominciò a piangere, stavolta dal dolore, mentre Tom si spingeva contro di lui e lo penetrava più a fondo, con spinte violente. Bill gemette assaggiando le sue stesse lacrime, e alla fine si ritrovò ad abbandonare il tentativo di liberarsi. Il dolore era troppo forte, lo accecava, e la sensazione di Tom che usciva ed entrava dal suo corpo violentemente gli fece tremare le gambe. Sarebbe caduto da un momento all’altro. Prese a tremare violentemente, mentre le risate circostanti gli riempivano le orecchie e sentiva i gemiti di Tom raggiungerlo. Poté solo strizzare gli occhi e sperare che tutto quello finisse presto. Si lasciò andare contro la parete, succube del corpo del suo aguzzino, e gemette quando Tom entrò un’ultima volta in lui con una poderosa spinta, e venne. Il rasta si tirò subito fuori e lo sporcò un po’ con il suo rilascio, allontanandosi.
Bill non si rese più conto di nulla.
Si lasciò cadere a terra, il respiro mozzato e il cuore che scoppiava.
Non riusciva più a sentire nulla intorno a lui. Il battito del suo cuore era tutto ciò che riusciva a percepire e non riusciva a smettere di piangere.
Aprì lentamente gli occhi e li vide, si stavano allontanando ridendo.
Singhiozzò ancora, cercando di raccogliere i pezzi di se stesso sparsi a terra, ma si bloccò.
Faceva male, cazzo, non riusciva ad alzarsi…


*



“Gordon” Simone afferrò il telefono e si pulì le mani sul grembiule, porgendo l’apparecchio al marito. “E’ mezzanotte passata, Bill di solito rientra verso le dieci”, disse preoccupata.
“E’ a casa di Andreas, cosa vuoi che gli succeda?”
“Non lo so, ma chiamalo, io finisco di sistemare la cucina”
L’uomo sospirò e afferrò l’apparecchio, componendo il numero del cellulare di Bill. Simone attraversò velocemente il salotto, borbottando che Bill avrebbe anche potuto avvertire, se pensava di rincasare così tardi. Entrò in cucina e Gordon l’avvertì che il cellulare di Bill era spento, e sentì una strana inquietudine impossessarsi di lei.
Che fosse successo qualcosa…?
All’improvviso, la serratura della porta d’ingresso scattò, e Simone sorrise rincuorata. Era Bill.
Uscì dalla cucina e si diresse nel corridoio, pensando di fargli una bella ramanzina, ma dovette bloccarsi alla vista di suo figlio.
“…Oh mio Dio.. Gordon!!”
Uno strusciare violento di sedie e anche Gordon arrivò all’ingresso, sgranando gli occhi mentre fissava Bill.
Simone corse subito da suo figlio, sorreggendolo, dato che stava barcollando, e l’uomo si avvicinò afferrandolo per le spalle.
“Bill!”
Il moro, lo sguardo puntato a terra, alzò lentamente la testa, altre lacrime che gli bagnavano il volto, e cadde tra le braccia di suo padre, privo di sensi.
 
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MiTcIv RuOy
view post Posted on 15/1/2010, 22:54     +1   -1




CITAZIONE
questo capitolo è scioccante preparatevi psicologicamente

io essere preparata a tutto!
ed esattamente come ho detto non mi sono scandalizzata nè niente.. capitolo bellissimo acnche se un pò triste. aspetto il continuo^^
 
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°[Ginny]°
view post Posted on 16/1/2010, 10:48     +1   -1




Capitolo 6






Aveva atteso fino alle otto e quaranta, per fare l’appello. Eppure Bill non si era presentato.
Ogni qual volta non veniva a scuola lo coglieva il dubbio che fosse successo qualcosa, ma ogni volta lo vedeva ritornare più sorridente di prima e subito si tranquillizzava.
Ma quella mattina Bill non si era presentato a scuola, e lui aveva lasciato Tom a casa perché era rientrato tardi e ubriaco fradicio. Non se l’era sentita di buttarlo giù dal letto per sentire le sue proteste e magari vederlo addormentarsi ogni secondo.
Decise, alla fine della lezione, di chiedere ad Andreas notizie di Bill. Lui sapeva sempre tutto del moro.
“Andreas, scusami…” lo richiamò mentre la classe usciva per dirigersi in palestra, dove il professore di educazione fisica li attendeva.
“Sì?” il biondo si fermò ad un passo dalla porta, voltandosi. Il professore gli fece cenno di avvicinarsi e lui lo fece. Non proprio volentieri, ma lo fece.
“Come mai Bill non è a scuola oggi?” chiese, cercando di apparire tranquillo.
Andreas scrollò le spalle. “Mi ha mandato un sms stamattina dicendo che non si sentiva molto bene” spiegò, fissandolo. “Ma lei, professore, come sta? Ho saputo che ieri si è sentito male”.
Jorg scosse la testa, ridendo lievemente. “E’ tutto ok, ho fatto un controllo in ospedale. Un calo di pressione” annuì e poi si morse il labbro. Stava mentendo. Non era stato un semplice calo di pressione. I medici volevano ricoverarlo e tenerlo sotto sorveglianza, ma lui si era rifiutato. Aveva delle classi in cui andare, una moglie da mantenere e un figlio da controllare. Non poteva mollare tutto perché forse era malato.
“Ok…” Andreas non seppe cos’altro rispondere. “Io andrei, ora”
“Oh, certo, scusa se ti ho trattenuto” rispose cordiale Jorg, dandogli una pacca sulla spalla.
Andreas salutò con un cenno del capo e uscì quasi correndo dalla classe.
Jorg fissò stancamente fuori dalla finestra, sospirando.
Bill si sentiva male troppo spesso ultimamente. Non voleva fosse successo qualcosa…
Uscì dall’aula e approfittò dell’ora libera che aveva per chiamare a casa Trumper e parlare con la mamma di Bill, per assicurarsi che stesse effettivamente bene. Non sapeva cosa, ma c’era qualcosa che lo preoccupava.
Trovò il registro con il recapito degli alunni in sala professori e cercò il cognome Trumper, trovandolo subito dopo. Era l’unico.
Compose il numero al cellulare e uscì dalla stanza, sistemandosi in un’aula vuota lì accanto per poter restare in pace.
“Pronto?” la voce di Simone Trumper lo raggiunse, facendolo sobbalzare. Si era perso per un attimo nei suoi pensieri.
“Buongiorno, signora… Sono Jorg Kaulitz, il professore di matematica di Bill”
“Oh, buongiorno!” esclamò lei, e Jorg potè giurare di averla sentita sussultare.
“Volevo chiederle… Bill non è venuto a scuola, oggi, e mi hanno riferito che non si sente bene”
Sentì la donna trattenere il respiro. “…Signora, tutto bene?”
“Vede…” esordì Simone, sospirando. “Bill ieri è stato aggredito da un gruppo di ragazzi”.
Il sangue di Jorg si ghiacciò nelle vene. “Cosa?” sibilò, sgranando gli occhi.
“Sì” esalò lei in risposta. “Ieri sera è tornato a casa piuttosto tardi ed era proprio ridotto male. L’hanno aggredito, ci ha detto”
“Chi è stato?” chiese Jorg immediatamente, sperando di non sentire il nome di suo figlio tra quelli dei colpevoli.
“Dice che non li ha visti in faccia. Abbiamo le mani legate, non possiamo neanche sporgere denuncia. E Bill non vuole che lo facciamo…”.
Jorg strinse di più la presa sulla cornetta, mordendosi a sangue il labbro inferiore.
“E Bill… come sta?”
“E’ chiuso in camera sua. Non esce da ieri sera, non ha voluto mangiare niente. Non ha voluto neanche che lo portassimo in ospedale”
“Capisco… sarà scioccato” asserì l’uomo, al che Simone sospirò di nuovo.
“In effetti è così. La prego, non dica a nessuno di questa storia, Bill non vuole che si venga a sapere”
Jorg annuì freneticamente con la testa, per poi rendersi conto che Simone non poteva vederlo.
“Certo, certo, non ne farò parola con nessuno. …Faccia i miei auguri a Bill e gli dica di rimettersi presto”
“Grazie mille, riferirò. Arriveder-”
L’uomo mise fine alla chiamata prima ancora che Simone finisse di parlare. Poggiò il cellulare sul tavolo e si stropicciò gli occhi con le dita, massaggiandosi successivamente le tempie.
Bill era stato aggredito… Non voleva pensarci, ma il pensiero che fosse stato Tom a farlo gli aveva attraversato la mente con un lampo.
Decise che gli avrebbe parlato, stavolta, che non avrebbe scaricato tutto sulle spalle di un ragazzino di diciassette anni che ci aveva rimesso.
Riprese il telefono e se lo ficcò in tasca, uscendo dalla stanza.


*



“Sono a casa”.
Jorg poggiò a terra la ventiquattrore e si tolse il soprabito, poggiandolo sull’appendiabiti nel corridoio.
Si allentò la cravatta e sospirò, trascinandosi in cucina, dove la voce di sua moglie lo aveva accolto con un caldo “Bentornato”.
L’uomo entrò nella stanza, salutando sua moglie con un bacio sulla guancia.
“Tom?” chiese corrucciato, guardandosi intorno. Non voleva che fosse uscito di nuovo.
“In camera sua. Dorme, credo”.
“Ok…” Jorg si sedette su una sedia e sorrise stancamente a sua moglie che gli accarezzò la spalla.
“Tutto bene? Com’è andata oggi?” chiese dolcemente lei, mentre l’aroma di caffé iniziava a diffondersi per la stanza.
“E’ stato tutto molto tranquillo. Un paio di classi erano anche in gita, quindi ho avuto qualche ora libera”.
Franziska sorrise e si voltò per versare il caffé appena pronto nella tazzina, porgendola poi a suo marito. Jorg aveva sempre bisogno di un caffé appena tornato dal lavoro. Era una specie di abitudine. E il fatto che in ospedale gli avessero detto - ovviamente a lui, non a sua moglie - di non prenderne, era un dettaglio decisamente trascurabile.
“Hai presente Bill Trumper?”


*



Tom si rigirò tra le coperte, cercando di capire se il suo piede fosse veramente attorcigliato e incastrato nel lenzuolo, oppure se stesse ancora dormendo e quindi sognando. E quando alzò di scatto la testa, cercò per un attimo di capire se la stanza stesse effettivamente girando intorno a lui, oppure se era solo a causa del forte mal di testa e della sbornia.
Riaffondo la testa nel cuscino con un ringhio soffocato, rendendosi conto che sì, era la sua testa a fargli brutti scherzi. Ricordava solo di essersi trascinato a letto la sera prima, con Franziska e Jorg che lo sgridavano e cercavano di parlargli, invano. Lui li aveva ignorati ed era andato dritto filato in camera, buttandosi sul letto e addormentandosi con tutti i vestiti.
Non aveva neanche chiesto a suo padre come stesse, ma stava bene, a giudicare dall’energia che aveva dimostrato la sera prima.
Mosse un altro po’ il piede e si liberò della coperta, facendola cadere a terra. Non aveva neanche chiuso la serranda, perché la luce del sole filtrava dalla finestra e lo colpiva dritto sulla schiena. Ma che ore erano…?
Sollevò di nuovo la testa e sbuffò. Era il primo pomeriggio. Il vecchio non l’aveva portato a lavoro, dunque. O forse non ci era andato, considerato che si era sentito male il giorno prima.
Si alzò con fatica dal letto e si sedette, sentendo puzza d’alcool e fumo sui vestiti e addosso. Doveva farsi una doccia.
Chiuse gli occhi e si massaggiò le palpebre per qualche secondo, cercando di prendere coscienza della situazione.
Ok, aveva incontrato Trumper al bar, che gli aveva detto che suo padre si era sentito male. Poi gli aveva fatto pure la predica, come se non bastasse, e lui se ne era andato incazzato nero e si era rinchiuso in un bar con i suoi amici a bere e fumare. Ma quella era la routine, insomma, non era niente di nuovo.
Poi però i ricordi diventavano sfumati.
Ricordava di aver incontrato Bill di nuovo, al buio, però. Cercò di fare mente locale, di ricordarsi dove diavolo avesse potuto incontrarlo ancora.
E un’immagine inaspettata gli trapassò la testa, facendolo gemere di più dal dolore.
Bill, intrappolato tra il suo corpo e il muro, che lo implorava di lasciarlo andare.
Scosse la testa e si alzò, barcollando, mentre si sfilava la maglietta.
Non poteva averlo fatto. Insomma, a parte i ricordi distorti e il mal di testa, non poteva averlo fatto davvero. Era stato un sogno. Solo un sogno dovuto alle canne, e soprattutto all’alcool che gli scorreva in corpo. Gli capitava spesso di avere degli stupidi incubi surreali dopo aver bevuto.
Gettò la maglia a terra e rabbrividì. Si morse il labbro inferiore, chinandosi a raccogliere l’indumento. Magari avrebbe mangiato qualcosa, prima di fare la doccia. E di certo non poteva farlo mezzo nudo, con il freddo che c’era.
Si infilò di nuovo la maglietta e se la sistemò un po’, tornando poi con il pensiero al suo incubo.
Insomma, doveva essere per forza un incubo, no? Lui era sì stronzo, e bastardo, e sapeva essere anche veramente cattivo quando voleva, ma non era una bestia. Non era tanto vigliacco da violentare una persona così, solo per il gusto di farlo.
E poi era etero. Gli avrebbe fatto schifo scoparsi un maschio, in tutta franchezza.
Scosse la testa e si sistemò i dread scompigliati, facendoli cadere disordinatamente sulle spalle.
Era fuori discussione. Non arrivava a quei livelli, lui.
Aprì la porta della camera e uscì nel corridoio, sentendo le voci dei suoi genitori al piano di sotto. Chissà se suo padre era andato a scuola?
Sospirò e scese il primo scalino, poi un altro, barcollando. E poi si bloccò a metà, sentendo la voce di sua madre, scandalizzata.
“Aggredito?!” strillò lei, e Tom potè giurare che in quel momento si fosse portata una mano al petto.
Sentì Jorg rispondere di sì, e sentì un forte pugno colpirlo allo stomaco quando dalla bocca di suo padre uscì il nome di Bill.
“Ho parlato con la madre di Bill e mi ha detto tutto” disse l’uomo. Fece una piccola pausa e Tom trattenne il respiro, il battito cardiaco accelerato. …Non stavano parlando di quello che pensava, vero…?
Tese di più le orecchie e scese un altro scalino, bloccando poi il piede a mezz’aria.
“Mi ha detto che ieri sera Bill è stato aggredito da un gruppo di ragazzi. Non li ha visti però, e Bill non vuole sporgere denuncia”.
Altro pugno allo stomaco, che lo fece aggrappare con forza al corrimano.
Allora era vero. L’aveva fatto davvero. Ed era stato lui…
“Non ha voluto neanche che lo portassero in ospedale. E’ chiuso in camera da ieri sera”.
Sentì Franziska sospirare preoccupata. “Povero ragazzo… chi può aver fatto una cosa del genere…?”
Tom scese ancora, ritrovandosi al piano di sotto. Gettò un’occhiata veloce alla cucina e vide Jorg che fissava Franziska. E poi aprì la bocca. “Vorrei non doverlo sapere” rispose l’uomo contrito, scrollando le spalle.
Franziska si portò una mano alla bocca, quasi orripilata.
“…Non può essere stato Tom…” sussurrò incerta, le sopracciglia aggrottate. Jorg scosse le spalle di nuovo, roteando gli occhi.
“Non lo so, Franziska. Spero di no”
Tom trattenne il respiro, mentre i ricordi della sera precedente si facevano più nitidi.
Sì, era stato lui. Era stato lui a sbattere Bill al muro. Era stato lui che l’aveva violato, che aveva abusato del suo corpo e poi l’aveva lasciato lì, senza il minimo ritegno.
Provò ribrezzo per se stesso e sentì quasi un conato di vomito risalirgli fino alle labbra, ma poi sgranò gli occhi. Suo padre lo stava guardando, forse si era esposto troppo.
“…Tom…” Jorg notò l’espressione del figlio e capì che effettivamente c’era qualcosa che non andava. Si alzò di scatto dalla sedia e gli si avvicinò, inizialmente disgustato dalla puzza di fumo e alcool che emanavano i suoi vestiti, ma poi lo afferrò per il collo della maglia e lo attirò a sé, sollevandolo qualche millimetro da terra.
Tom digrignò i denti e Franziska quasi strillò, precipitandosi verso di loro.
“Sei stato tu?!” tuonò Jorg in faccia al figlio, alitandogli sul volto. Tom chiuse un occhio, il mal di testa che si faceva più forte.
“Jorg…” Franziska cercò di intromettersi, ma Jorg si alterò ancora di più, e in quel momento Tom pensò che era la prima volta che vedeva suo padre perdere le staffe in quel modo.
“RISPONDI, TOM! SEI STATO TU?!” chiese di nuovo, praticamente urlando. Tom si ritrovò a fissare gli occhi furibondi di suo padre e per qualche secondo sentì le gambe tremare. E poi scosse la testa lentamente, cercando di liberarsi dalla sua presa.
“…Non sono stato io… lasciami…” sibilò, al che Jorg mollò immediatamente la presa. Nonostante tutto, sapeva di non poter avere il totale controllo di suo figlio. L’aveva sempre saputo.
“…Ok” disse freddo, voltandosi. “Spero per te che sia vero”. Prese a camminare a passo svelto e si chiuse nel suo studio, sbattendo la porta.
Franziska non potè fare a meno di spostare lo sguardo da suo marito a suo figlio e poi deglutì, sentendo le lacrime lottare per uscire dai suoi occhi.
E poi se ne andò anche lei, senza dire una parola.
Tom rimase fermo in mezzo al corridoio, il cuore che batteva all’impazzata.
Non aveva mai avuto un confronto tanto diretto con suo padre, né pensava ne avrebbe mai avuti. Invece no, Jorg aveva perso le staffe perché Bill era stato aggredito, e aveva giustamente sospettato di lui.
Scosse la testa.
Aveva bisogno di quella doccia. Subito.


*



Non sapeva esattamente perché si trovava lì.
Aveva solo pensato che magari era la cosa giusta da fare. Per capire se era vero. E magari anche per vedere come stava.
Beh, era ovvio che Bill non stesse affatto bene dopo quello che era successo la sera precedente, ma quel maledetto stato d’ansia, che aveva catalogato come sensi di colpa - e lui non li aveva mai avuti, i sensi di colpa - gliel’aveva quasi imposto.
E così si era ritrovato a farsi quella doccia, a cambiarsi e a uscire di casa completamente ignorato dalle uniche due persone che vivevano con lui, e si era diretto verso casa Trumper.
E ora era lì, di fronte alla porta sulla quale luccicava la piastrina in ottone e, sotto, il campanello.
Avrebbe potuto chiedere a sua madre. Ma forse Bill non le aveva raccontato proprio tutto tutto. In fondo era imbarazzante come cosa e per niente facile da raccontare.
Avrebbe potuto fregarsene, invece, e tornare dal suo gruppo per stare tutti insieme a ridere della sera precedente.
Ma dubitava che qualcuno di loro ricordasse qualcosa, ubriachi e fatti di coca com’erano. E poi c’erano sempre quei dannati sensi di colpa. Quei sensi di colpa che lo spinsero a suonare il campanello senza un buon motivo.
Pensò che forse poteva andarsene. Poteva fare una corsa per non farsi vedere da chi avrebbe aperto la porta. Forse poteva nascondersi da qualche parte.
Ma non fece in tempo a mettere in pratica nessuno dei suoi piani di fuga che vide la porta spalancarsi davanti i suoi occhi, e una donna sulla quarantina che lo fissava.
“…Posso aiutarti?” chiese cordiale lei, sorridendo all’espressione smarrita del ragazzo. Tom sembrò congelarsi sul posto per un attimo, e prima di avere veramente il tempo di pensare, spalancò la bocca.
“Sono un amico di Bill” esordì, mentre nella sua testa un’immagine di lui che si impiccava per aver detto una tale cazzata, lo faceva sprofondare nello sconforto. Un amico di Bill? …Lui?!
“Oh” la donna sorrise, annuendo. “Sei venuto a trovarlo?”
Tom sbatté le palpebre un paio di volte. Annuì.
“Bill è in camera sua” sorrise Simone. Tom si ritrovò a fissare con interesse la donna davanti a lei: era piuttosto alta - meno di lui, comunque, e di certo meno di Bill -, i capelli biondo scuro mossi cadevano con delicatezza sulle spalle esili. Pensò che somigliasse molto a Bill, ma non era possibile. Era un pensiero completamente stupido, dato che anche lui era stato adottato.
Quella donna che gli sorrideva conciliante sulla porta gli ricordò sua madre, Franziska. Si somigliavano non nell’aspetto, ma - sembrò strano pensarlo - nell’aura che emanavano.
La voce di Bill gli riempì improvvisamente la testa, bombardandolo quasi. Le parole che gli aveva detto il giorno prima si ripresentarono.
“Quei perfetti sconosciuti, come li chiami tu, ti hanno accolto in casa quando nessuno lo avrebbe fatto, si sono presi cura di te e ti hanno cresciuto con l’amore di un vero genitore. Non li meriti, Tom, sei solo uno stronzo. Non meriti dei genitori così. Tuo padre non merita quello che gli sta succedendo”
..Forse era vero. Forse non meritava la vita che aveva, ma la notizia che era stato adottato era stato davvero un colpo troppo grande per lui.
“Potresti farmi un favore?” chiese Simone, facendosi da parte per farlo entrare. Tom annuì ancora ed entrò in casa, guardandosi intorno.
“Devo andare al supermercato, potresti fargli compagnia mentre non ci sono…?”
Tom si voltò di scatto verso la donna, che aveva già afferratola giacca dall’appendiabiti e le chiavi dal mobiletto all’ingresso.
“…Certo, non si preoccupi”.
Il rasta non potè fare a meno di accettare, mentre Simone prendeva la borsa.
“Grazie” rispose lei cordiale, sorridendogli. Poi si bloccò proprio mentre usciva fuori, voltandosi verso Tom.
“…Non ci siamo mai visti, vero?”
Lui scosse la testa, tendendole la mano. “Sono Tom, piacere di conoscerla”.
“Io sono Simone, la madre di Bill” gli strinse la mano.
Le piaceva quel ragazzo, era molto gentile. Ed anche molto bello. Somigliava un po’ a Bill, in effetti, soprattutto il sorriso.
Solo Simone potè notare quel piccolo particolare, però, perché nessuno, nell’ultimo arco di tempo, aveva visto Tom sorridere davvero. Eppure il sorriso che aveva appena rivolto alla donna sembrava sincero.
“La stanza di Bill è al piano di sopra, la seconda porta a sinistra. Ma la riconoscerai subito”.
Tom annuì di nuovo e Simone uscì, richiudendosi la porta alle spalle.
Il rasta rimase nell’ingresso, guardandosi intorno. Non si stupì notando le pareti tappezzate di cornici. Le foto di Bill erano le più ricorrenti, e la sua attenzione si soffermò su una foto di quando era piccolo. Doveva avere più o meno cinque anni. Gli somigliava. Gli stessi capelli corti, biondi - evidentemente si tingeva, dato che ora li aveva neri -, gli stessi occhioni… Sì, erano parecchio simili.
Sbuffò in una risatina divertita.
Entrambi adottati, somiglianti l’uno all’altro… potevano essere fratelli, magari. Sorrise ancora. Era impossibile una cosa del genere, avevano la stessa età, dopotutto.
Si avviò verso le scale e le salì velocemente, trovandosi in un corridoio piuttosto esteso.
Non ci mise molto ad individuare la porta della camera di Bill. A parte la placchetta con su scritto il suo nome a caratteri cubitali gotici, lo fece sorridere l’enorme cartellone nero che esibiva la scritta Freiheit ’89, che occupava gran parte della zona superiore della porta. E sul pomello c’era un altro cartello, stavolta più piccolo. Somigliava a quelli che si vedevano negli hotel e c’era scritto Don’t disturb.
…Certo che Bill era proprio strano…
Si avvicinò ed esitò un attimo prima di bussare. Perché si sentiva più o meno tranquillo…?
Si morse il labbro.
Forse non aveva capito un cazzo, di tutta quella situazione.
Bussò leggermente e sentì un mugolio sommesso provenire dall’interno. Non seppe interpretarlo proprio come una risposta, ma si decise ad aprire comunque la porta.
L’odore pungente di disinfettante lo colpì, e per un secondo si chiese cosa diavolo avesse combinato. Ma poi la figura di Bill, infagottata tra le coperte, attirò la sua attenzione.
“Mamma, ti ho detto che n-” Bill si liberò da quel groviglio di stoffa e alzò la testa, i capelli arruffati, gli occhi semichiusi e il volto arrossato. Aveva un taglio verticale sul labbro.
Tom si ritrovò a fissare la bocca di Bill che si spalancava in un urlo muto. E poi in un urlo vero e proprio.
Tremando, il moro si rituffò sotto le coperte, iniziando a piangere.
“Vattene! VATTENE!” gridò, sprofondando nel letto. Si rannicchiò su se stesso e si circondò il corpo con le braccia come per proteggersi, mentre un dolore lancinante e purtroppo conosciuto lo attraversava di nuovo.
Tom rimase immobile, gli occhi lievemente spalancati e la gola secca.
Vedere Bill in quello stato gli fece accelerare improvvisamente il battito cardiaco, e si sentì profondamente a disagio. Gli aveva fatto del male davvero, allora…
Continuò a fissare il corpo di Bill che singhiozzava sotto le coperte e tremava visibilmente. Il moro aveva iniziato a piangere più forte, mentre gli ripeteva tra i singhiozzi di andarsene.
Tom deglutì, sbattendo le palpebre. Che doveva fare…? Forse non era stata una buona idea, andare lì.
Sentì la voce di Bill farsi più flebile ogni secondo che passava, finché la parola “vattene” non fu sostituita da “mamma”.
Tom serrò le labbra. Simone era uscita e Bill non lo sapeva. Doveva dirglielo, comunque.
“…Tua… tua madre è uscita” esalò a voce abbastanza alta, affinché Bill potesse sentirlo anche da lì sotto. “Mi ha chiesto di farti compagnia mentre era via…”.
Tom scosse la testa, meravigliandosi della propria faccia tosta.
E Bill scattò immediatamente fuori dalle coperte, afferrando il bicchiere sul comodino per poi lanciarglielo. Il rasta riuscì ad evitarlo per un pelo, scansandosi di lato, mentre quello si infrangeva sulla porta e cadeva a terra in mille pezzi.
“VATTENE!! VATTENE VIA!!” urlò Bill in preda al panico, le lacrime che gli rigavano il volto distrutto e il corpo scosso da violenti singulti.
Tom sentì il panico montare all’improvviso. Voleva rimediare, fare qualcosa, ma davvero non sapeva cosa. Forse andarsene sarebbe stata la cosa più saggia da fare.
Ma non lo fece. Rimase immobile, mentre Bill si appiattiva contro la testata del letto e si avvolgeva di nuovo tra le lenzuola, stavolta lasciando scoperta la testa.
Fissava Tom con occhi terrorizzati, il respiro accelerato, e continuava a ripetergli di andarsene, in una sorta di litania senza fine.
Il rasta lo fissò mentre afferrava la radiosveglia e gli tirava anche quella, facendo cadere a terra le pastiglie poggiate sul comodino.
“VATTENE!!” Bill urlò di nuovo, spalancando la bocca in modo spropositato.
…Forse chiedergli come stava non sarebbe stata una mossa saggia. Come minimo Bill gli avrebbe tirato appresso anche il mobile accanto al letto.
Si sentì nauseato dai pensieri idioti che stava facendo in quel momento, e aprì la bocca, sperando di riuscire a dire qualcosa di coerente.
“…Non… volevo…” riuscì solo a sillabare, mentre la voce gli moriva in gola e un altro urlo di Bill gli perforava le orecchie.
“NON ME NE FREGA UN CAZZO DI QUELLO CHE VUOI!!” strillò il moro, stavolta impregnando ogni singola parola di odio, disprezzo e dolore. “NON VOGLIO PIU’ VEDERTI! SPARISCI DALLA MIA VITA!!! SPARISCI!! VATTENE!!”.
Tom fece un passo indietro, colpito dalla violenza di quelle parole e dal tono usato dal moro.
Forse sì, doveva andarsene, ma qualcosa gli impediva di farlo. E stavolta non si trattava dei sensi di colpa. Era qualcosa di più forte che però non riuscì a identificare.
“Bill…” protese una mano in avanti, ma il moro lo interruppe prima che potesse dire qualcosa.
“TI HO DETTO DI ANDARTENE! NON NE POSSO PIU’ DI TE, DI TUTTO QUELLO CHE TI RIGUARDA!!” esclamò, stringendosi di più nella coperta. Annaspò per una manciata di secondi, poi continuò a parlare, stavolta a voce più bassa, spezzata dai singhiozzi.
“Non mi importa più niente, basta, io ho chiuso! Sparisci, non farti più vedere! Puoi anche morire, per quello che me ne importa!”.
Tom serrò le labbra, abbassando di scatto il braccio.
Deglutì a fatica, mentre Bill respirava affannosamente per aver gridato così tanto.
Non potè fare altro che fare dietrofront e uscire da quella stanza, seguito immediatamente dai singhiozzi di Bill che si fecero più persistenti quando si chiuse la porta alle spalle.


*



Gli ci era voluta più di una settimana, per riprendersi.
Era rimasto a letto ogni singolo giorno, alzandosi solamente per andare in bagno e rispondere agli sms e alle chiamate di Andreas, che continuava a chiedergli come stesse. Ovviamente la scusa dell’influenza si era protratta a lungo, e il biondo si era offerto parecchie volte di andarlo a trovare. Ma Bill aveva sempre rifiutato, non voleva lo vedesse in quello stato.
Faceva male. Non solo emotivamente e psicologicamente, ma si sentiva proprio distrutto nel corpo.
Vedere Tom a casa sua, oltretutto, era stato il colpo di grazia.
Aveva anche smesso di mangiare, finché sua madre non lo aveva minacciato di chiamare un medico se non avesse ripreso a farlo. E Bill era stato costretto ad ingerire cibo contro la sua volontà e poi a riversarlo nel water ogni qual volta sua madre non era nei paraggi.
La sua vita era diventata uno schifo in poco più di un mese e continuava a rimpiangere il periodo precedente all’arrivo di Tom, quando tutto sembrava perfetto. Invece no, il suo professore aveva avuto la brillante idea di chiedere aiuto a lui.
E cos’era successo?
Era stato privato della cosa più importante della sua vita ed era stato violato, umiliato, preso in giro e ferito.
Doveva parlare con Jorg. Gliel’avrebbe detto, non poteva continuare a combattere per Tom quando riceveva in faccia solo porte sbattute. Non era tanto cretino da sottomettersi così, e non voleva neanche più vedere Tom.
Sperava solo che il rasta non avesse raccontato a nessuno quello che era successo. Dubitava che i suoi amici ricordassero qualcosa, ubriachi com’erano, ma Tom poteva essere un problema.
Non voleva che tutti sapessero che era stato violentato da quel teppista. Non voleva che la gente lo compatisse. L’unica cosa che desiderava veramente era tornare alla sua vita di prima.
Fu con quel pensiero che strinse con forza l’orlo della maglia e deglutì, fissando con occhi colmi di lacrime la porta d’entrata della scuola.
Ci stava seriamente provando, a rimettere insieme tutti i pezzi della sua vita, ma non era facile.
Ma poi scorse una testa biondo platino in mezzo alla massa di studenti nel cortile, e sorrise impercettibilmente, ricacciando indietro le lacrime. Mosse un passo incerto in avanti, poi un altro, finché non si ritrovò a correre e si gettò tra le braccia di Andreas che, seppure colto alla sprovvista, fu pronto ad accoglierlo, sussurrandogli all’orecchio un “bentornato”.
Ovviamente non gli aveva detto nulla, di quello che era successo. Conosceva Andreas e sapeva che sarebbe andato da Tom per regolare la questione e, immancabilmente, avrebbe avuto la peggio.
Sorrise, mentre Georg e Gustav gli davano una pacca sulla spalla, contenti che fosse guarito da quella febbre che lo stava cogliendo un po’ troppo spesso, ultimamente.


*



“E con Tom? Il figlio del professore…?”
Bill lasciò cadere la forchetta a terra, sobbalzando. Alcune persone si voltarono verso di lui, nella mensa, e ridacchiò nervoso. Solo sentire il nome di Tom lo faceva stare male di nuovo.
“…Cosa…?” chiese mentre si chinava, cercando di apparire normale.
In quel momento, Tom fece il suo ingresso in mensa, alla ricerca di un posto dove poter mangiare. Suo padre voleva anche che socializzasse, oltre che lo seguisse a lezione. E, ovviamente, lui non ne aveva voglia.
Bill se ne accorse e subito gli diede le spalle, cercando di controllare il tremore della mano.
“Voglio dire, come va la riabilitazione? Ultimamente sei stato male, non hai potuto fare nulla” spiegò Gustav, rigirandosi il coltello tra le mani. Bill sbuffò. In quel frangente, Tom passò accanto al loro tavolo e gettò un’occhiata al moro che, nel rispondere, si premurò di alzare il tono della voce per farsi sentire meglio.
“No, ormai ci ho rinunciato. Nessuno potrebbe mai stare accanto ad uno come lui” esordì, attirandosi l’attenzione dei compagni al tavolo.
L’aveva detto con cattiveria.
E Tom, poco lontano, sbatté il vassoio sul primo tavolo libero e uscì di corsa dalla mensa.
Per la prima volta da quando era successo tutto quel casino, si sentiva ferito.
E non riusciva a spiegarsi il perché.
 
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o°d@nyglämmy°o
view post Posted on 17/1/2010, 01:02     +1   -1




maledizione... perchè ho cominciato a leggere così tardi...ç_____ç!!!!

ti prego, ti scongiuro, postaaaaaaaaa!!!!!!

è meravigliosa♥.♥
 
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°[Ginny]°
view post Posted on 17/1/2010, 13:42     +1   -1




Capitolo 7




Non si era mai sentito tanto male come in quei giorni.

Non credeva sarebbe stato possibile, eppure non riusciva a chiudere occhio. Se possibile, era ancora peggio di quando aveva scoperto di essere stato adottato.

Aveva pianto, quella volta. Aveva urlato, sentendosi ferito da quelli che aveva sempre considerato i suoi veri genitori. Era scappato. Aveva lasciato la scuola. Aveva mandato a puttane la sua vita per una verità che lo aveva sconvolto.

Avrebbe preferito non sapere. Avrebbe tanto voluto continuare a vivere in quell’illusione che era stata la sua famiglia per diciassette anni e continuare la sua vita come aveva sempre fatto.

Ovviamente, il destino gli aveva riservato qualcos’altro.

Era stato un periodo terribile. Ricordava ancora le urla di suo padre e i pianti di sua madre, che lo supplicavano di capire mentre lui se ne fregava e andava in giro con quella banda di deficienti che era diventata la sua unica famiglia.

Per un po’ aveva avuto la situazione sotto controllo. Ma poi tutto gli era sfuggito di mano, aveva anche avuto a che fare con la polizia a causa di un taccheggio. Niente di grave, ma era comunque bastato perché Jorg prendesse in mano la situazione e decidesse di controllarlo di persona, portandolo a scuola con sé.

E lì aveva incontrato lui. L’unica persona dopo se stesso per la quale si era ritrovato a soffrire.

Erano quei fottuti sensi di colpa che lo tormentavano e la consapevolezza di aver agito in modo avventato e davvero troppo stupido. Aveva ferito Bill. Gli aveva fatto del male e aveva anche avuto la faccia tosta di presentarsi a casa sua.

Gli si era ghiacciato il sangue nelle vene, quando aveva visto la sua reazione, perché il dubbio che fosse stato proprio lui ad abusare del moro era diventato una certezza.

Aveva provato disgusto per se stesso, sentendosi a disagio e quasi sconvolto.

Avrebbe voluto scusarsi con Bill, ma non ne aveva avuta l’occasione. O, più semplicemente, gli era mancato il coraggio. Vederlo lì, che piangeva rannicchiato tra le coperte, il corpo scosso da tremiti violenti, lo aveva distrutto lentamente. Perché lo rivedeva. Lo rivedeva ogni notte in quel fottuto incubo che lo perseguitava e non gli lasciava via di fuga.

Si era svegliato parecchie volte nel cuore della notte con le urla di Bill e il suo volto in lacrime nella mente, e alla fine non riusciva più a riaddormentarsi.

Voleva davvero chiedere scusa, ma sapeva che, anche se lo avesse fatto, la situazione non sarebbe cambiata.

Aveva combinato un casino e non aveva la minima idea di come risolverlo.

Poteva solo immaginare lo stato d’animo di Bill. Di certo si sentiva ferito, usato, umiliato e preso in giro. Perché era quello che aveva fatto, Tom aveva giocato con i suoi sentimenti nonostante lui gli si fosse avvicinato senza un secondo fine.

Sapeva che era stato suo padre a chiedere a Bill quel favore, ma il moro aveva accettato: avrebbe potuto benissimo rifiutare e invece no, aveva deciso di unirsi con lui in quella specie di battaglia.

E, anche se sembrava ne fosse uscito perdente, alla fine era lui il vincitore.

Perché lui aveva sempre qualcuno con cui potersi sfogare, una spalla su cui piangere, degli amici da cui andare in caso di bisogno.

Lui non aveva nessuno.

Aveva allontanato tutti da sé e si era circondato di persone che pensavano, ovviamente, solo al proprio tornaconto.

Gli faceva schifo pensarla in quel modo, ma era comunque la verità.
Era Bill quello che cadeva sempre in piedi. E lui quello che rimaneva fregato.

Si passò per l’ennesima volta la manica sul viso, strofinandola, e cercò di addormentarsi di nuovo, ignorando il pizzicore degli occhi che lo stava tormentando.

Si coprì fino alla testa, nascondendo il viso nel cuscino.

Era egoista da parte sua pensare che la vittima fosse lui e non Bill. Perché in realtà era Bill quello che stava male per qualcosa che aveva subito, mentre lui stava male per qualcosa che aveva fatto.

Non c’era paragone, davvero. Lui aveva sbagliato, lui doveva pagare.

E forse, per un momento, si ritrovò a pensare che avrebbe voluto essere l’unica vittima di tutto quel casino.




*





“Questo film è una palla”.

Andreas sbadigliò, accomodandosi meglio contro lo schienale del divano. Bill sbuffò in una risatina. “Spiacente, non avevo altro” proferì, accoccolandosi contro di lui.

Andreas gli passò un braccio intorno alle spalle e lo strinse un po’, schioccandogli un bacio sui capelli.

“Ci vieni in gita, vero?” domandò mordendosi il labbro. Bill scattò con la testa in alto, fissandolo.

“Gita?”

Andreas lo fissò perplesso, ma poi si ricordò che, quando i professori ne avevano parlato, Bill era stato assente.

“Fra due settimane faremo una gita di due giorni e una notte”

“Meta?”

“…Non me la ricordo”.

Bill scoppiò a ridere dandogli un piccolo pugno sulla gamba. “Vedrò” si limitò a rispondere, alzando le spalle.

“Come? No, Bill, dai devi venire!” esclamò l’altro contrariato, frizionandogli i capelli sulla testa con una mano. Bill continuò a ridere cercando di liberarsi dalla sua presa, ma il telefono prese a squillare all’improvviso. Il biondo sbuffò e lasciò andare Bill, che si alzò immediatamente e si precipitò verso il cordless.

“Pronto?” si sistemò i capelli annaspando, sgranando gli occhi quando sentì la voce dell’uomo all’altro capo del telefono.

“P-Professore…” il suo sguardo indugiò verso Andreas che, apparentemente, non si era accorto di niente, troppo concentrato su quel film che aveva definito “una palla”. Ma forse non lo era poi così tanto.

“Sì, sono io. Disturbo…?”

Bill si chiese come aveva fatto Jorg ad avere il suo numero di telefono, ma probabilmente l’aveva preso dall’archivio scolastico. Sospirò cercando di non farlo notare e scosse la testa, gettando un’occhiata innervosita ad Andreas.

“No, non si preoccupi”

“Scusa se ti chiamo a quest’ora, ma non ho avuto modo di parlarti prima… Volevo sapere come stai”.

Bill rimase interdetto per un attimo, aggrottando le sopracciglia.

“Tutto bene, perché?”

“…Tua madre mi ha detto cos’è successo” spiegò l’uomo, sospirando debolmente. Bill spalancò gli occhi e la bocca. Perché Simone non gli aveva detto niente?

“Capisco…” cercò di sembrare conciliante, ma non ci riusciva. Tutta quell’invadenza da parte del professore lo stava letteralmente mandando fuori di testa. Non che avesse niente contro di lui, ma quella situazione stava diventando troppo fastidiosa. “Comunque sto bene, non si deve preoccupare”.

Jorg sorrise leggermente, aprendo poi la bocca per dire ciò che veramente gli premeva.

“Mi fa piacere… Ma, Bill, volevo sapere… è stato Tom?”

Il moro si ritrovò a voltarsi di scatto verso Andreas, scoprendo che lo stava fissando. Non poteva parlare ad alta voce, avrebbe dovuto limitarsi a rispondere sì o no. Fu tentato, per un momento, di dirgli che era stato Tom. Di dirgli proprio tutto, di quello che gli aveva fatto e di come aveva avuto la faccia tosta di presentarsi a casa sua il giorno dopo.

Ma quando Jorg parlò ancora, rimase interdetto.

“L’ho chiesto a lui e mi ha detto di no. Ma vorrei comunque sentire la tua versione”.

…Ah, era così? Tom aveva negato…?

Strinse le labbra e assottigliò gli occhi. Forse avrebbe potuto dirgli davvero quello che era successo. Tom avrebbe passato dei guai e lui avrebbe finalmente avuto la sua vendetta.

Tom avrebbe finalmente capito la gravità di tutto quello che aveva fatto e Jorg finalmente gli avrebbe chiesto scusa per averlo coinvolto in una questione che, in fondo, non lo aveva mai riguardato.

Avrebbe potuto farlo davvero, liberarsi di tutto lo schifo che aveva dentro e avere finalmente quello che voleva.

“…No”

Ma non se la sentì. Nonostante tutto quello che aveva passato, non ce la fece.

Ma non riusciva a capirne il motivo.

“No, non è stato Tom” proferì a voce bassa, cercando di non far sentire quel nome ad Andreas.

Sentì Jorg sospirare sollevato dall’altra parte del telefono e sentì anche il suo cuore rilassarsi un poco.

“Capisco… Grazie, Bill”.

Bill strinse gli occhi.

Lo meritava davvero quel grazie. Avrebbe potuto sputtanare Tom ma non l’aveva fatto.

Tom avrebbe dovuto ringraziarlo.

“Si figuri. Piuttosto lei, professore, come sta? Ho saputo che è tornato a scuola subito dopo che si è sentito male”

“Oh, sì, non potevo lasciare le classi. Però sto bene, ho avuto solo un calo di pressione. Mi dispiace di averti spaventato”.

Bill sorrise scuotendo la testa, come se l’uomo potesse vederlo.

“Va tutto bene, l’importante è che sia tutto ok”

“Certo, lo è”. Jorg deglutì. Da quando era diventato così bravo a mentire…? “Ora ti lascio, scusa ancora se ti ho disturbato”.

Bill gli disse di nuovo di non preoccuparsi e poi premette il tasto rosso del telefono, poggiandolo sulla base. La mano gli tremava leggermente.

“Ehi” Andreas lo richiamò e lui si voltò di scatto, sorridendogli. “Chi era?”

“…Un amico di papà, gli ho detto di richiamare”

Andreas sorrise e gli fece cenno di avvicinarsi. Bill annuì e si sedette accanto a lui, facendosi abbracciare subito dopo.

“Allora, ci vieni in gita?”

Bill alzò gli occhi al cielo. Forse non sarebbe stata una cattiva idea partire. Magari si sarebbe divertito e avrebbe dimenticato per un po’ le brutte cose.

Attese qualche secondo e annuì, sorridendo.

“…Penso di sì…”

Sentì Andreas rilassarsi contro di lui e tornarono a guardare il film, abbracciati, mentre Bill rifletteva su quell’inaspettata notizia.

Una gita. Ci sarebbe stato da divertirsi, avrebbe potuto staccare la spina per un po’ e concentrarsi solo su se stesso, senza nessun teppista nei dintorni.




*





Doveva aspettarselo.

Era troppo chiedere di avere un po’ di pace per almeno un paio di giorni?

Cazzo, evidentemente sì. Eppure non gli pareva di aver chiesto la luna o qualcosa del genere. L’unica cosa che voleva era essere lasciato in pace, e invece tutto e tutti sembravano contro di lui.

L’aveva capito fin da quando aveva saputo che sarebbe stato Jorg Kaulitz il loro accompagnatore. Ma ci aveva comunque sperato. Magari, per un motivo o per l’altro, Tom non sarebbe andato con lui, sarebbe rimasto a casa con sua madre a fare qualsiasi altra cosa.

Invece no, ovviamente.

Ne aveva avuto la terribile certezza quando aveva visto il professore arrancare verso di loro con la borsa in spalla e un Tom incazzato nero che lo seguiva, le mani in tasca e lo sguardo fisso a terra. Non sembrava molto contento di quella gita - forzata, per lui.

“Ma se lo porta sempre appresso…” ringhiò Andreas quando se ne accorse, stringendo di più la presa sulla cinghia della borsa. Bill scosse la testa.

“Lascialo perdere, basterà ignorarlo” gli gettò un’occhiata veloce e si sistemò la visiera del cappello che quasi gli copriva gli occhi.

Il biondo lo fissò per un attimo, corrucciato. “Perché all’improvviso hai rinunciato?” chiese a bruciapelo. Bill sussultò.

“Rinunciato a cosa?”

“Ad aiutare Tom. Non… non ti ha fatto niente, vero?”

Bill sbottò in una risatina nervosa, cercando di camuffarla. “Certo che no!, è solo che io ho una vita e non posso passarla a stare appresso a lui”.

Andreas annuì convinto, rendendolo partecipe della propria approvazione.

“Bene, ragazzi, salite sul pullman! Si parte!” annunciò l’altro professore del gruppo, incitando gli allievi a prendere posto sul veicolo.

Ovviamente, Bill e Andreas presero due posti vicini e Bill si sedette accanto al finestrino: gli piaceva guardare fuori dal vetro quando era in viaggio, gli impediva di pensare.

Sistemarono entrambi gli zaini in mezzo ai piedi e si guardarono intorno alla ricerca dei compagni, che presero posto nei sedili dietro di loro. Prima che qualcuno potesse occupare quelli davanti, però, Jorg e Tom entrarono nel pullman.
E Bill invocò tutti i santi del paradiso, sperando che no, non decidessero di sedersi lì davanti a loro.

Speranza vana, ovviamente. Qualcuno lassù ce l’aveva con lui, non c’erano dubbi.

“Sono occupati questi posti, ragazzi…?” domandò il professore, fissandoli. Andreas scosse la testa e cercò di sorridere, ma il suo sguardo di fuoco dardeggiò su Tom che, sentendosi osservato, ricambiò l’occhiata. E poi, ovviamente, andò a fissare Bill.

Il moro sentì un brivido poco piacevole percorrergli la schiena e deglutì, appoggiando immediatamente una mano sulla visiera del cappellino per farlo calare di più sugli occhi. Non voleva guardare Tom. Sapeva che avrebbe avuto una reazione incontrollata. In fondo, anche solo pensare a lui gli provocava uno sconvolgimento emotivo tale che quasi non riusciva a smettere di piangere, una volta cominciato. Perché era davvero brutto il ricordo di quella notte, e non avere la possibilità di sfogarsi con qualcuno era ancora peggio.

Poggiò la testa contro il vetro, di lato, e tirò fuori l’I-pod dalla tasca, srotolando le cuffie.

Andreas lo fissò per un attimo, poi Bill gliene porse una e lui l’afferrò sorridendo. Era sempre stato così, prima ancora che si mettessero insieme.

Anche Andreas si rilassò, cercando di non pensare a Tom e al professore che avevano preso posto davanti a loro. Poteva vedere il volto di Tom di traverso, dato che era seduto davanti a Bill, quindi accanto al finestrino. Era incazzato, si vedeva. E lo notò ancora di più quando lo vide armeggiare con le cuffie dell’I-pod, cercando di spicciarle, e quando ringhiò sommessamente perché non ci riusciva.

Chiuse gli occhi cercando di non pensarci. Avrebbe dovuto divertirsi e basta, e anche Bill.

Il moro tornò ad appoggiarsi al vetro, lo sguardo puntato sullo schienale del sedile davanti. E poi, in un gesto veloce, spostò lo sguardo sul vetro e vi vide riflesso il volto di Tom. Sembrava parecchio corrucciato.

Spostò gli occhi e li roteò. Perché cazzo doveva sedersi proprio davanti a lui?!

Sospirò e premette un tasto. La musica partì e i Green Day lo rilassarono subito, il che era tutto dire. Solo la musica, a volte, riusciva a tranquillizzarlo.

Chiuse gli occhi e si addormentò poco dopo.

Ogni tanto, quando l’autobus prendeva qualche buca, apriva gli occhi leggermente e fissava l’asfalto che correva sotto di loro. E poi lo sguardo si posava sul riflesso della figura di Tom, malamente adagiato sul sedile. Sembrava dormisse.

Si maledì e abbassò di nuovo la visiera del cappellino.

Sapeva che prima di arrivare, come minimo, avrebbe rivisto quel riflesso decine di altre volte.




*





“Prendete le vostre chiavi e posate le valigie. Avete un’ora per darvi una sistemata, poi ci vediamo qui nella hall. Pranzeremo fuori” annunciò Jorg indicando la reception dove due ragazze sorridevano cordiali. Il professore si voltò e iniziò a prendere le chiavi, leggendo i nomi su una lista che aveva stilato poco prima di partire.

Tom era in disparte, poggiato al muro accanto all’ascensore.

Che squallore. Avrebbe dovuto condividere la stanza con suo padre. Non poteva esserci niente di peggio.

Però forse, si ritrovò a pensare, poteva sgattaiolare nella stanza di qualche ragazza e passare la notte lì, tanto per fare qualcosa di diverso.

Si bloccò un attimo mentre quel pensiero gli attraversava la mente e scosse la testa.

Probabilmente se Bill avesse potuto leggergli nella testa l’avrebbe preso a schiaffi per quel pensiero, magari gridandogli che era un animale e che faceva schifo, che pensava solo al sesso e un'altra marea di cazzate varie.

Sospirò. Forse non erano proprio cazzate…

“Bill e Andreas” Jorg sollevò un’altra chiave. “Voi avete la numer-”

Tom aveva appena teso le orecchie per sapere quale stanza fosse stata assegnata ai due, ma proprio in quel momento una delle ragazze gli era passata davanti parlando con un’amica e gli aveva impedito di ascoltare. La mandò a fanculo con lo sguardo e sbuffò.

Ma poi li vide: Andreas e Bill che afferravano le borse e le trascinavano fino all’ascensore, proprio vicino a lui.

Andreas teneva in mano la chiave mentre Bill premeva il tasto dell’ascensore, gettandosi intorno occhiate nervose sperando che arrivasse subito. Quella vicinanza con Tom, per lui, era anche troppa.

Quando le porte dell’ascensore si aprirono davanti a loro, il biondo spinse dentro Bill con la sua borsa e poi lo seguì.

E, prima che le porte potessero richiudersi, Tom riuscì a vederlo.

Stanza 483.

Perfetto.




*





“Questa stanza è enorme!!” Bill si lasciò andare sul letto a braccia aperte e sprofondò nel materasso, affondando il viso nel cuscino. Si sentiva stanco nonostante non avesse fatto un bel niente, eppure aveva solamente voglia di dormire.

Sentì Andreas sbuffare e sedersi accanto a lui, poco dopo aver lanciato la borsa su quello che, per forza di cose, sarebbe stato il suo letto.

Bill rotolò e si ritrovò a fissare Andreas, che si era piegato leggermente per poterlo guardare meglio.

Bill sorrise e si sollevò, sfiorando le labbra con le sue, per poi abbracciarlo.

“Sono solo due giorni, ma ci divertiremo”.

Mentre lo diceva, pensò che ci sperava davvero tanto. Gli sarebbe piaciuto moltissimo potersi divertire in compagnia di Andreas per almeno un paio di giorni. Forse ci sarebbe riuscito davvero, a dispetto di tutto ciò che era successo fino ad allora.

Andreas annuì sorridendo.

“…Quanto tempo abbiamo prima di dover tornare giù?” chiese, sdraiandosi accanto a Bill.

Il moro alzò gli occhi al soffitto, pensieroso. “Un’ora, mi pare”.

Andreas sorrise e gli passò un braccio sotto la schiena, attirandolo a sé. “Allora abbiamo tempo…” gli sussurrò sulle labbra prima di baciarlo. Bill sospirò e si strinse a lui, poggiandogli una mano sul petto.

Era sempre rilassante stare con Andreas. Lo faceva sentire davvero bene e in pace con il mondo. Se non fosse stato il suo ragazzo avrebbe anche potuto raccontargli di quello che era successo con Tom, ma in queste circostanze davvero non poteva. Aveva sempre potuto parlare di tutto con Andreas, eppure ora si ritrovava a mentirgli ogni giorno. Non gli piaceva quella situazione.

E gli piaceva ancora meno il fatto che, ogni qual volta si trovava in compagnia del biondo, il suo pensiero si spostava su Tom.

Andreas si staccò lentamente da lui, accarezzandogli le labbra con la lingua.

Gli accarezzò la testa con una mano e chiuse gli occhi, mentre Bill poggiava la testa sul suo petto.

“…Mi piaci tanto, sai, Andi…?” mormorò intimidito, strofinando la guancia sulla sua maglia.

Il biondo aprì gli occhi di scatto e alzò la testa quel tanto che bastava per poter fissare il lieve rossore che colorava le guance di Bill. E lo trovò adorabile.

Gli fece alzare la testa con due dita e lo fissò, prima di sussurrargli un “Anche tu” e assalirlo con baci passionali.

Per quanto fosse strano, essere baciato da Andreas non gli faceva tornare alla mente quello che era successo con Tom. Baciare Andreas era piacevole. Era… bello. Sì, gli piaceva da morire.

Si strinse a lui, intrecciando le gambe con le sue e sospirandogli sulle labbra, mentre ne leccava il contorno e lo attirava a sé afferrandolo per la maglietta.

Sentì Andreas agitarsi un po’ ma non ci fece caso, troppo preso a divorargli le labbra mentre l’altro ricambiava con la stessa e identica passione.

Ma poi il biondo si staccò all’improvviso, alzandosi dal letto. Bill rimase così, immobile, mentre abbracciava un mucchio d’aria e annaspava, alla ricerca delle labbra del suo ragazzo.

Aprì gli occhi di scatto e lo fissò mentre, in piedi, si mordeva nervoso il labbro inferiore.

“…Andi…?” indugiò lui, squadrandolo.

E poi gli occhi scivolarono in basso, sull’evidente bozzo sul cavallo dei pantaloni di Andreas.

Bill si coprì immediatamente il viso con le mani, sentendosi arrossire.

Sapeva perché Andreas si era alzato, ora. Si era eccitato e si era allontanato per evitare di fare qualcosa che Bill non avrebbe approvato.

Sentì un calore indescrivibile avvolgergli il cuore e lo ringraziò a bassa voce, sussultando quando sentì la porta del bagno chiudersi.

Rimase interdetto e tolse le mani da davanti gli occhi, sapendo cos’era andato a fare Andreas.

…Forse avrebbe potuto provare a dargli un po’ di piacere. Forse.

Si avvicinò alla porta del bagnetto e bussò lievemente, sentendosi rispondere da una voce bassa e roca. Gli si attorcigliò lo stomaco e posò una mano sulla maniglia, afferrandola saldamente.

“…Sto entrando…” annunciò, abbassandola. Aprì la porta e si trovò davanti la figura di Andreas, la cintura dei pantaloni sbottonati e la cerniera abbassata. Non potè fare a meno di arrossire ancora e deglutì, andando a fissare il biondo negli occhi.

“E’… perché noi… stavamo…”

Andreas annuì velocemente, e Bill si sentì strano. …Perché a lui non aveva fatto lo stesso effetto…?

Si avvicinò al ragazzo e chiuse la porta alle sue spalle, armato di un’audacia che non gli apparteneva veramente.

Gli poggiò le mani sul petto, fissandolo, e poi le fece scorrere verso il basso.

Andreas sussultò quando le dita di Bill gli accarezzarono il basso ventre e si morse il labbro inferiore.

“…Cosa…?” chiese, la voce spezzata dall’eccitazione. Bill cercò di sorridere e di non apparire imbarazzato, ma già si sentiva morire.

Abbassò la testa e infilò un dito nei boxer di Andreas, abbassandoli quel tanto che bastava per liberare la sua erezione già svettante verso l’alto.

Quando la sua pelle venne a contatto con l’aria fredda, il biondo sussultò e strinse le mani, aspettando una qualche mossa di Bill. Gli andava bene tutto, purché facesse qualcosa.

Notò i suoi occhi titubanti e poi le sentì. Le dita di Bill sfiorargli la punta.

Emise un ringhio sommesso e chiuse gli occhi, inspirando affannosamente. Bill non si fermò. Aprì la mano e afferrò l’erezione di Andreas, accarezzandola lievemente con le dita affusolate.

Stava iniziando a sentire caldo.

Fece scorrere la mano su e giù per altre due volte, fermandosi poi a stuzzicare la punta con il pollice.

Era… diverso. Si sentiva strano, non aveva mai fatto una cosa del genere a qualcuno che non fosse se stesso. Era una sensazione completamente diversa.

Si ritrovò a sussultare quando Andreas gli andò incontro con il bacino e lo spinse lentamente contro la porta.

Alzò le braccia e poggiò i palmi delle mani contro il legno scuro, mentre Bill affrettava il ritmo delle carezze.

Dopo qualche secondo, venne nella mano del moro con un gemito strozzato.

Annaspò per un po’, fissando Bill che aveva finalmente alzato la testa.

“…grazie…” gli sussurrò, baciandolo. Bill sorrise leggermente e pensò di volerlo abbracciare, ma la mano appiccicosa gli fece subito cambiare idea.

Sorrise e si staccò da lui, avvicinandosi al lavandino. Aprì l’acqua e si bagnò la mano, pulendola per bene.

Andreas continuò a fissarlo dallo specchio e si allacciò i pantaloni, mentre le guance del moro tornavano a colorarsi.

“…Sei adorabile quando lo fai…” gli sussurrò avvicinandosi. Gli scostò i capelli dal collo e vi poggiò un lieve bacio, muovendo la lingua. Bill chiuse gli occhi e mugolò, piegando la testa di lato. Andreas lo afferrò per i fianchi e lo fece voltare, premendolo contro la superficie fredda del lavandino. Gli divorò le labbra in un bacio passionale che Bill si ritrovò a ricambiare con audacia.

E, quando si staccarono, entrambi ansimanti, si sorrisero.

“…Ti va di andare a vedere come sono le stanze degli altri…?” chiese il biondo, accarezzandogli un fianco. Bill ridacchiò.

“Cos’è, vuoi inaugurare anche quelle…?”

Andreas sbottò in una risatina divertita e gli baciò il naso. “Non proprio, ma non è una cattiva idea”.

Bill scosse la testa divertito. “Mi do una sistemata e vengo, tu intanto avviati”.

Andreas annuì e poi lo baciò di nuovo, mordicchiandogli il labbro inferiore.

“Ti amo” disse, prima di lasciarlo andare. Bill si sciolse e sentì quel famoso calore al petto.

“…Anche io…”

Il biondo sorrise ancora e uscì dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle.

Stava ancora sorridendo quando si bloccò.

“…Cosa vuoi?”

Tom lo fissò e gettò un’occhiata alla porta. Era quella. La stanza 483.

“…Devo parlare con Bill”.
 
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tommina96
view post Posted on 17/1/2010, 15:03     +1   -1




noooo troppo bellla!!posta presto miraccomando!
 
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o°d@nyglämmy°o
view post Posted on 17/1/2010, 15:29     +1   -1




wow.......io voglio che bill e tom si chiariscano!!!!!!

per favore, per favore postaaaaaaaa prestoooooo!!!!

ssono troppo ansiosa♥♥
 
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115 replies since 12/1/2010, 21:51   1853 views
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